Folklore Orientale

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 20/12/2011, 21:12
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Sottae e Changsŭng

aaaaa5


All'ingresso di molti villaggi di campagna in Corea ancora oggi si notano certi simboli di un lontano passato. Si tratta dei changsŭng (장승) e dei sottae (솟대), o pali degli spiriti. Gli uni e gli altri servono per allontanare gli spiriti cattivi e per portare fortuna al villaggio.
Sia i changsŭng che i sottae sono di legno e sono decorati con elementi naturali. I primi, più imponenti, stanno a guardia del sentiero di ingresso e normalmente hanno forma umana e un aspetto truce per spaventare le malattie e il male che volesse entrare: hanno anche una certa autorità “militare” in quanto hanno il titolo di grande generale. I secondi, invece, hanno la forma di un uccello (un'anitra selvatica, anche se molto stilizzata), e sono posti in cima ad un alto palo: al contrario degli altri, rappresentano piuttosto un simbolo di buon augurio e servono per propiziare abbondanza di raccolti per gli abitanti del villaggio, oltre che allontanare eventi naturali dannosi.

aaaaa1


I pali di legno chiamati Changsŭng (장승), di solito vanno in coppia, maschio e femmina.
Lo spirito femminile è quello che governa ciò che sta sottoterra, quello maschile ciò che sta sopra la terra. Sul tronco sono incise le frasi Ch'ŏnha taejanggun (천하대장군 天下大將軍), o “grande generale sotto il cielo”, per il tronco maschile, e Chiha yŏjanggun (지하여장군 地下女將軍), o “generalessa del sottoterra”, per il tronco femminile.
Si trovano di solito all'ingresso dei villaggi di campagna e sono venerati come spiriti guardiani che proteggono il villaggio dai mali e dalle malattie. Una volta all'anno gli abitanti del villaggio effettuano una cerimonia rituale per venerare gli spiriti del Changsŭng.

aaaaa4


I residenti del villaggio si riuniscono ogni anno per fabbricare questi pali degli spiriti e per tenere i riti propiziatori.
I sottae sono manifestazioni della religione popolare coreana. Nel villaggio di Kangmun, nella provincia Kangwŏn-do, ci sono tre pali sormontati da tre anitre selvatiche per allontanare gli incendi, le inondazioni e i danni provocati dal vento.
L'anitra, in particolare, funziona da divinità delle acque per garantire un raccolto abbondante.

aaaaa2


Ma questo palo rituale tradizionale non veniva usato solo per attirare la buona sorte sul villaggio: un'altra forma di sottae era il palo che veniva eretto per festeggiare il residente di un villaggio che aveva superato gli esami di stato per diventare pubblico funzionario. In questo caso il palo era di color arancione ed era sormontato da un dragone blu.
Purtroppo molti di questi simboli folcloristici del passato sono andati rapidamente scomparendo negli ultimi trent'anni. Il villaggio di Mirim-ri a Koch'am, nella provincia del Chŏlla-pukto, è uno dei pochi luoghi della Corea in cui si sia conservata la tradizione di fabbricare ed erigere i pali sottae in occasione del capodanno lunare e di tenere i riti propiziatori.
Il primo passo di questi riti è quello di nominare chi dovrà officiare la cerimonia. Di solito nel quinto giorno del nuovo anno lunare si tiene una riunione per scegliere l'officiante, chiamato cheju (제주 祭主), fra gli anziani del villaggio che hanno avuto buona sorte l'anno precedente.

Poi una banda di musicisti contadini va da una casa all'altra suonando e raccogliendo denaro o riso per finanziare i riti. Nel quattordicesimo giorno vengono fabbricati i pali degli spiriti e la mattina del quindicesimo giorno i pali vengono eretti e tutti gli abitanti del villaggio si recano alla montagna degli spiriti protettori del villaggio per tenere i riti comuni sull'altare dei guardiani tutelari.
Dopo i riti ufficiali, gli abitanti del villaggio formano due gruppi per fare la gara del tiro alla fune, chiamata chultarigi (줄다리기).
La fune è costituita da due grosse corde intrecciate preparate in anticipo, l'una considerata femminile e l'altra maschile. Il risultato del tiro alla fune è sempre lo stesso: il gruppo che tira il capo femminile della fune viene lasciato vincere perché le donne sono il simbolo dell'abbondanza e della fertilità.

aaaaa3



Altre immagini sotto spoiler


Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
view post Posted on 20/12/2011, 21:41
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Il Festival di Kimje

20111003_3432718


1262029_image2_1


I coreani dicono che a Kimje (Gimje), nella regione Chŏllapuk-to, la terra e il cielo si incontrano. La zona è il granaio della Corea e le risaie si stendono fino all'orizzonte in questa che è la più ampia pianura della penisola. Questo territorio non poteva mancare di celebrare la propria natura contadina con un festival in cui si fanno rivivere i giochi e le gare tradizionali di un tempo, dall'incontro dei draghi di carta al tiro alla fune, dal volo degli aquiloni all'altalena.
Fin dall'inizio della civiltà umana la Corea ha sviluppato una sua cultura agricola. Di fatto la Corea vanta il più antico sistema di irrigazione dell'Asia, noto col nome di pyŏkkolje (벽골제 碧骨堤), che fu ideato 1700 anni fa, nel 330, durante il regno del re Piryu (비류왕 比流王) di Paekche. Per questo motivo Kimje (김제 金堤), dove si vedono ancora oggi i canali di quell'antico sistema, è noto come il luogo in cui si sviluppò per prima la coltivazione del riso in Corea. La combinazione di condizioni naturali favorevoli, di un suolo fertile e del lavoro dei contadini ha trasformato Kimje in una terra dell'abbondanza.

PYH2009121707550005500_P2


Kimje è l'unico luogo in Corea in cui cielo e terra si incontrano, l'unico posto in cui si può vedere un'orizzonte libero. D'autunno il benvenuto a chi visita il luogo viene dato da alcuni spaventapasseri piantati qua e là nelle risaie. La scena agreste delle risaie con le messi dorate richiama alla mente memorie di un antico modo di vivere.
Il “Festival dell'orizzonte” fu istituito nel 1999 dalla città di Kimje per far conoscere il bell'ambiente naturale della zona, lo sviluppo della propria cultura agricola e l'alta qualità del suo riso. Nel 2005, fra i vari festival regionali che si tengono in Corea, il Ministero della Cultura e del Turismo ha scelto il Festival dell'orizzonte di Kimje come miglior festival culturale e turistico dell'anno.

mini-cloudwalker-kimje-100925-03


Il festival del 2005, che è durato quattro giorni a partire dal 29 settembre, era in realtà formato da cinque diversi settori uniti in un'unica manifestazione: si trattava di un festival basato sull'attività, utile per sperimentare di persona la cultura agricola; di un festival del riso per valorizzare l'immagine del prodotto di Kimje; di un festival della cultura e del turismo per esplorare i resti culturali del luogo facendo un viaggio nel tempo; di un festival di vita e cultura, colmo di cose da vedere, fare, gustare, e di memorie da portare a casa; di un festival storico per mettere in risalto lo spirito degli antichi coreani e il suo valore storico.

mini-199_896_3511


Lo slogan adottato per il festival del 2005 era “Una terra vitale e l'orizzonte: al mondo sulle ali di una risurrezione” e lo scopo da raggiungere era quello di servirsi di un evento che celebrava la cultura agricola tradizionale coreana per promuovere lo stile, la cultura e il modo di vivere dei coreani e mandare un messaggio di pace al mondo.
Il programma del festival era diviso in vari temi principali che comprendevano un mercato di campagna, una “terra di esperienze”, una “terra di solchi nei campi” e una “terra di cultura”. I luoghi in cui si svolgevano gli eventi permettevano ai visitatori di curiosare in giro e di vedere le varie manifestazioni in un modo sistematico. Con l'aiuto della guida stampata distribuita all'ingresso era possibile visitare il festival in un modo ancor più organizzato.

507878_image2_1


I 75 diversi eventi erano raggruppati in otto categorie, che comprendevano riunioni ufficiali, concerti all'aperto, cultura tradizionale e manifestazioni artistiche, esperienze di coltivazione ed eventi sul riso. In risposta alla tendenza verso il “benessere” così diffusa fra i coreani di oggi, si sono iniziate nel 2005 tredici nuove manifestazioni, il che significa che c'era una quantità di cose da vedere e da fare per imparare tutto sul tipo di agricoltura che si pratica in Corea.
Gli eventi che permettevano di sperimentare la cultura agricola comprendevano: fabbricare gli spaventapasseri, far volare gli aquiloni, catturare le cavallette, pescare, andare in giro per i campi su un carro trainato da buoi, osservare l'esibizione di uno spaventapasseri umano, visitare una mostra di oggetti di paglia, e fare banderuole segnavento. Altre manifestazioni comprendevano il gioco dei due draghi, un'importante competizione folcloristica (designata “materiale folcloristico numero 10” dalla regione Chŏllapuk-to), camminare in equilibrio su una fune al fine di pregare per un buon raccolto, una gara nazionale di persone di talento e una competizione di musica coreana contadina.
Per enfatizzare l'immagine agreste dell'avvenimento, all'ingresso del luogo in cui si svolgeva il festival era stata posta una cabina di paglia. oltre ad altre strutture tradizionali tipiche delle comunità rurali, dando così ai turisti coreani e stranieri l'opportunità di sentirsi assorbiti nell'ambiente agricolo della Corea. Inoltre, qua e là attorno al percorso compiuto dai carri trainati da buoi, a partire dall'ingresso, c'era una coloratissima torre di fiori, una grande aiuola e una mostra di sculture, che creavano delle zone fotografiche dove la gente poteva scattare fotografie ricordo.

jpg


Una serie diversa di eventi era stata preparata per i turisti stranieri per aiutarli a capire e sperimentare nel modo appropriato la cultura agricola della Corea. Fra questi vi erano gare per stranieri e una parata per le strade della città dove i turisti stranieri e quelli coreani potevano incontrarsi. Queste manifestazioni avevano lo scopo di far conoscere al mondo la cultura rurale peculiare della Corea e di far sì che il Festival dell'orizzonte potesse attirare gente proveniente da tutte le parti del mondo.
A differenza degli anni precedenti quando il Festival dell'orizzonte si era focalizzato sul sistema di irrigazione pyŏkkolje che, come si è detto, è il più antico in Asia, il festival del 2005 si è svolto in tutta la città di Kimje. Gli eventi principali sono stati le nuove manifestazioni cittadine: durante il periodo del festival una strada è stata completamente bloccata al traffico e sono stati stabiliti giorni speciali dedicati alle unità amministrative minori, come i villaggi.

jpg


Ogni giorno, dalle 10 del mattino alle 9 di sera si sono svolti eventi culturali, concerti, drammi e show di talenti sul palco allestito nella strada riservata ai pedoni. Inoltre, in giorni stabiliti, si sono avute, dalle 10 del mattino alle 7 di sera, esibizioni di dilettanti provenienti dai villaggi vicini che hanno allestito commedie e drammi relativi a leggende della loro zona e ai loro prodotti tipici. Non sono mancate le risate fra gli spettatori, dati i modi curiosi in cui gli attori improvvisati si presentavano al pubblico.
Sono stati inoltre presentati una quantità di eventi per strada, come esibizioni di abitanti del luogo dotati di speciali talenti, e concerti tenuti da studenti universitari e intrattenitori. C'era anche un mercato di campagna, una tettoia di paglia, un piccolo zoo con animali del luogo, un osservatorio dell'orizzonte e un villaggio dedicato ai pali totemici (changsŭng).

mini-news1286246789_221525_2_m


Il mercato di campagna era stato ricreato sullo stile dei vecchi mercati ambulanti che ora stanno per essere dimenticati. C'era molto da vedere e i visitatori più anziani hanno certamente provato una forte nostalgia. È stata anche l'occasione per dare uno sguardo all'interessante cultura di strada di un tempo e del modo in cui i coreani del passato si occupavano di commercio.

In concomitanza con il festival dell'orizzonte si è tenuta la Maratona dell'orizzonte di Kimje alla quale hanno partecipato circa 7.000 sportivi provenienti da tutto il paese. Il percorso si è svolto in un magnifico ambiente agreste, fra risaie dorate e campi di fiori che ondeggiavano alla lieve brezza.
La cerimonia conclusiva si è tenuta il 2 ottobre, con una rappresentazione del gruppo teatrale Dulsori, uno show futuristico con luci laser e i rimbombi dei tamburi della pace che riempivano l'aria notturna di luci e suoni.

mini-PYH2011092906240005500_P2



Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
view post Posted on 20/12/2011, 22:59
Avatar

Millennium Member

Group:
Moderatore
Posts:
10,016
Location:
Winterfell and Tosa-han

Status:


Shintoismo

shinto3


Lo Shintoismo o Scintoismo è una religione nativa del Giappone. Prevede l'adorazione dei Kami, un termine che si può tradurre come divinità, spiriti naturali o semplicemente presenze spirituali. Alcuni kami sono locali e possono essere considerati come gli spiriti guardiani di un luogo particolare, ma altri possono rappresentare uno specifico oggetto o un evento naturale, come per esempio Amaterasu, la dea del Sole. Il Dio dei cristiani in giapponese viene tradotto come "kami". Anche le persone illustri, gli eroi e gli antenati divengono oggetto di venerazione dopo la morte e vengono a loro volta annoverati tra i kami. La parola Shinto nasce dall'unione dei due kanji: 神 shin che significa "divinità", "spirito"(il carattere può essere anche letto come kami in giapponese ed è a sua volta formato dall'unione di altri due ideogrammi 示 "altare" e 申 "parlare , riferire"; letteralmente ciò che parla, si manifesta dall'altare. 申 ne determina anche la lettura) e 道 tō in cinese Tao ("via", "sentiero" e per estensione; in senso filosofico rende il significato di pratica o disciplina come in Judo o Karatedo o ancora Aikido). Quindi, Shinto significa letteralmente "pratica degli Dèi", "via degli Dèi". In alternativa a Shinto, l'espressione puramente giapponese — con il medesimo significato — per indicare lo Shintoismo è Kami no michi. Il termine "shinto" viene adoperato anche per indicare il corpo del nume, ovvero la reliquia presso cui il kami partecipa materialmente (per esempio una spada sacra).

Nella seconda metà del XIX secolo, nel contesto del Rinnovamento Meiji fu elaborato lo Shinto di Stato 国家神道 (Kokka Shintō, 国家神道?), che mirava a dare un supporto ideologico e uno strumento di controllo sociale alla classe dirigente giapponese, e poneva al centro la figura dell'imperatore e della dea Amaterasu, progenitrice della stirpe imperiale. Lo Shinto di stato fu smantellato alla fine della seconda guerra mondiale, con l'Occupazione del Giappone. Alcune pratiche ed insegnamenti shintoisti che durante la guerra erano considerati di grande preminenza ora non sono più insegnati o praticati mentre altri rimangono grandemente diffusi come pratiche quotidiane senza però assumere particolari connotazioni religiose, come l'Omikuji (una forma di divinazione).

STORIA

shinto10


Periodo preistorico
Le origini dello Shintoismo si sono perse nel tempo, ma pare che si sia originato alla fine dell'ultimo Periodo Jōmon. Esistono diverse teorie riguardo agli antenati del popolo giapponese odierno; la più accettata è quella che li indica come discendenti di popolazioni dell'Asia Centrale e dell'Indonesia.

Più probabilmente dopo l'arrivo dei primi antenati del popolo giapponese, ogni villaggio e area aveva la sua propria collezione di divinità e rituali senza alcuna relazione tra un culto locale e l'altro. In seguito all'ascesa degli antenati dell'odierna famiglia imperiale giapponese andò probabilmente a crearsi un pantheon stabile, anche se mai definitivamente, in quanto anche oggi le divinità sono innumerevoli, proprio perché considerate manifestazione della natura stessa, sacra in ogni sua forma.

Relazioni con il Buddhismo
L'introduzione della scrittura nel V secolo e del Buddhismo nel VI secolo ebbero un profondo impatto nello sviluppo di un sistema unificato di credenze shintoiste. Nel giro di un breve periodo di tempo all'inizio del periodo Nara, il Kojiki (Memorie degli eventi antichi, 712) ed il Nihonshoki (Annali del Giappone, 720 circa) furono scritti compilando miti e leggende esistenti in un resoconto unificato (vedi la voce sulla mitologia giapponese). Questi resoconti avevano un duplice scopo: innanzitutto favorire l'introduzione di temi taoisti, confuciani e buddhisti nella narrativa, mirati a impressionare i cinesi dimostrando che la cultura giapponese non era inferiore alla loro; in secondo luogo queste narrazioni erano volte a legittimare la casa imperiale, facendola discendere dalla dea del Sole Amaterasu. La maggior parte del territorio del Giappone moderno era sotto un controllo frammentario da parte della famiglia imperiale, e gruppi etnici rivali confinanti (inclusi forse gli antenati degli Ainu) continuavano ad essere ostili. Le antologie mitologiche, insieme ad altre antologie di poesie come il Manyoshu, contribuirono a rafforzare la centralità della famiglia imperiale sostenendo e divinizzando il suo mandato governativo.

Con l'introduzione del Buddhismo e la sua rapida adozione a corte, divenne necessario spiegare l'apparente differenza tra il credo nativo giapponese e gli insegnamenti buddhisti. In effetti lo Shintoismo non ebbe un nome fino a che non divenne necessario distinguerlo dal Buddhismo. Quest'ultimo non penetrò spazzando via la precedente fede giapponese, ma al contrario contribuì alla sua consolidazione. Esso legittimò infatti tutti gli dèi giapponesi, considerandoli come entità sovrannaturali intrappolate nel ciclo delle rinascite. Questa spiegazione venne più tardi contestata dalla corrente Kukai che considerava i kami come incarnazioni speciali del Buddha stesso. Per esempio collegò la dea del Sole, e antenata della famiglia imperiale, Amaterasu, a Dainichi Nyorai, una manifestazione del Buddha, il cui nome significa letteralmente "Grande Buddha Solare". Secondo questo punto di vista i kami erano semplicemente Buddha con un altro nome. Parallelamente alla teologia anche i due sistemi di valori andarono progressivamente a supportarsi e a scambiarsi elementi: c'è infatti una forte compatibilità tra gli insegnamenti naturalistici dello Shintoismo e quelli compassionevoli del Buddhismo.

La coesistenza e amalgama di Buddhismo e Shintoismo dai punti di vista dello Shinbutsu Shugo e del sincretismo ebbe larga diffusione fino alla fine del Periodo Edo. A quell'epoca nacque un rinnovato interesse negli studi giapponesi (Kokugaku), forse come risultato della politica del paese chiuso. Nel XVIII secolo con vari studiosi giapponesi, in particolare Motoori Norinaga (1730 - 1801), ci furono vari tentativi di separare lo Shintoismo dalle influenze straniere. I tentativi non ebbero grande successo, sin dall'epoca del Nihonshoki, quando parti della teologia e del creazionismo shintoista vennero prese esplicitamente in prestito dalla dottrina cinese (per esempio le divinità procreatrici Izanami e Izanagi furono comparate alle energie del Tao, Yin e Yang). Questi tentativi prepararono comunque il terreno per l'introduzione dello Shintoismo di Stato, in seguito alla Restaurazione Meiji, con il quale Shintoismo e Buddhismo furono ufficialmente separati.

Shintoismo di Stato
In seguito alla Restaurazione Meiji lo Shintoismo venne proclamato religione ufficiale del Giappone e nel 1868 la sua combinazione con il Buddhismo venne resa illegale. In questo periodo molti studiosi del Kokugaku iniziarono a vedere lo Shintoismo come mezzo attraverso cui unificare il Paese ed aumentarne la devozione all'imperatore, per velocizzare il più possibile il processo di modernizzazione. Lo shock psicologico delle navi nere e il conseguente collasso dello shogunato convinsero molti che solo una nazione unita avrebbe potuto resistere alla colonizzazione dei popoli stranieri. In conseguenza di ciò lo Shintoismo venne utilizzato come strumento per promuovere l'adorazione dell'imperatore (e quindi della propria nazione) e venne esportato nei territori conquistati come l'Hokkaidō e la Corea.

Nel 1871 venne istituito un Ministero delle divinità e i templi shintoisti vennero divisi in dodici livelli con sede centrale al tempio di Ise (dedicato ad Amaterasu e perciò simboleggiante la legittimità della famiglia imperiale). Negli anni seguenti il Ministero delle divinità venne rimpiazzato da una nuova istituzione, il Ministero della religione, incaricato di guidare l'istruzione allo shushin (letteralmente "sentiero morale"). Questo fu uno dei maggiori capovolgimenti dall'epoca del Periodo Edo. I preti iniziarono ad essere eletti ufficialmente, retribuiti ed incaricati dallo Stato di istruire i giovani attraverso una forma di teologia shintoista basata sulla storia mitologica della casata imperiale e dello Stato giapponese.

Con il passare del tempo lo Shintoismo venne utilizzato sempre più per enfatizzare i sentimenti nazionalisti popolari. Nel 1890 venne promulgato il Kyoiku Chokugo (Rescritto imperiale sull'educazione) che richiese agli studenti di recitare ritualmente il giuramento di offrire sé stessi coraggiosamente allo Stato, così come di proteggere la famiglia imperiale. La pratica dell'adorazione dell'Imperatore venne ulteriormente diffusa dalla distribuzione di ritratti imperiali come oggetti di venerazione esoterica. Questo utilizzo dello Shintoismo diede al patriottismo giapponese una tinta di misticismo speciale e di introversione culturale, che divenne sempre più pronunciata con il passare del tempo.

Questo processo continuò a consolidarsi durante il periodo Showa prima di arrestarsi bruscamente nell'agosto 1945, con la separazione tra Stato e Chiesa shintoista. Ironicamente, l'invasione dell'Occidente così temuta all'inizio dell'epoca Meiji era infine arrivata, in parte a causa della radicalizzazione del Giappone permessa dalla sua compattezza religiosa.

La riforma moderna
L'era dello Shintoismo di Stato si chiuse bruscamente con la fine della seconda guerra mondiale. Poco dopo la fine del conflitto l'imperatore annunciò pubblicamente la rinuncia al suo stato di divinità terrena e smentì la discendenza della famiglia imperiale dalla dea Amaterasu. In conseguenza ai risultati della guerra molti giapponesi conclusero che la causa della sconfitta fosse stata la hybris (superbia) dell'Impero. La brama di territori stranieri accecò i loro leader esaltando l'importanza della loro patria. Nel periodo successivo alla guerra comparvero numerose Shinshukyo (nuove sette religiose), molte delle quali ostensivamente basate sullo Shintoismo.

Successivamente alla guerra lo Shintoismo insistette con meno importanza sulla mitologia e il mandato divino della famiglia imperiale. Invece i templi tesero a focalizzarsi su attività sociali, volte ad aiutare le persone ordinarie nel migliorare le proprie condizioni o se stessi, mantenendo buone relazioni con gli antenati e gli dèi. Successivamente alla guerra la pratica generale dei rituali shintoisti non è decrementata. La spiegazione normalmente data per questa anomalia è che in seguito alla dismissione dello Shintoismo di Stato, la religione è ritornata alla sua posizione tradizionale, culturalmente radicata, piuttosto che imposta. In ogni caso lo Shintoismo ed i suoi valori continuano ad essere una componente fondamentale della vita e della mentalità giapponese.

Categorizzazione e struttura

shinto2


Classificazione religiosa
Lo Shintoismo è una religione difficile da classificare. Da una parte può essere considerata veramente come una forma molto organizzata di animismo, ma la presenza di una mitologia definita la rende più una religione politeista con tratti sciamanici. La vita dopo la morte non è una preoccupazione primaria e viene data un'enfasi maggiore al trovare l'armonia in questo mondo, invece che nel prepararsi al successivo. Lo Shintoismo non possiede insiemi vincolanti di dogmi, un luogo santo sopra tutti gli altri da adorare, nessuna persona o kami considerato più sacro degli altri, e nessun insieme definito di preghiere. Lo Shintoismo è piuttosto una collezione di rituali e metodi, intesi a mediare le relazioni tra gli esseri umani e i kami. Queste caratteristiche conferiscono allo Shintoismo un carattere di completezza semplice ed efficace, caratteristiche che gli consentono di sopravvivere tutt'oggi, facendone una religione importante e millenaria. Queste pratiche si sono originate organicamente in Giappone nel corso di molti secoli e sono state influenzate dal contatto con le religioni straniere, soprattutto cinesi. Da notare per esempio, che la parola Shinto è essa stessa di origine cinese e che molte delle codifiche della mitologia shintoista vennero costituite con lo scopo esplicito di rispondere all'influenza culturale cinese. Nella stessa maniera lo Shintoismo ha avuto, e continua ad avere, un'influenza dominante sulla pratica di altre religioni in Giappone. In particolare si potrebbe anche discuterlo sotto la voce Buddhismo giapponese, poiché le due religioni hanno esercitato una profonda influenza l'una sull'altra per tutta la storia del Giappone.

Alcuni ritengono che lo Shintoismo fu strumentalizzato per la legittimizzazione ideologica durante la fase militaristica che seguì la Restaurazione Meiji. Poiché lo Shintoismo non possiede fonti di autorità assoluta, alcuni ritengono che sia stato un'espressione naturale delle credenze del popolo, sfruttate dai nazionalisti radicali che desideravano unificare il Giappone. Altri si chiedono se l'enfasi posta dallo Shintoismo sull'eccezionalità giapponese non abbia reso inevitabili questi sviluppi. Anche oggigiorno, alcune fazioni di estrema destra della società giapponese, vogliono che si enfatizzi maggiormente lo Shintoismo e si incrementi la reverenza mostrata all'imperatore, come parte di un progetto per portare il Paese nel suo giusto posto come nazione guida del mondo. Nonostante ciò, per la maggior parte dei giapponesi, seguire lo Shintoismo non significa esprimere disprezzo per le altre nazioni, ma piuttosto esprimere il proprio amore per la natura del Giappone e di tutto il mondo, delle persone e degli spiriti e divinità che lo abitano.

Tipi di Shintoismo
Si possono riconoscere essenzialmente cinque espressioni dello Shintoismo. Queste non vanno considerate come vere e proprie correnti a se stanti, ma più che altro delle differenti forme di culto tutte volte al medesimo obiettivo, ovvero giungere alle medesime verità. Casi particolari sono tuttavia quelli dello Shintoismo settario e di quello di Stato.

- Shintoismo imperiale (Koshitsu Shinto): questo termine indica i riti eseguiti dall'imperatore per venerare la miriade di kami e in particolare la dea Amaterasu Omikami, al fine di assicurare la continuità dello stato, la felicità del popolo e la pace mondiale. Questi riti sono indipendenti da quelli dello Shintoismo templare.
- Shintoismo templare (Jinja Shinto): questo termine indica lo Shintoismo istituzionalizzato (nato subito dopo la caduta dello Shintoismo di Stato), fondato sul culto all'interno dei templi jinja. È in generale lo Shintoismo organizzato e rappresenta infatti il cardine di tutte le attività religiose e persino degli altri filoni della religione shintoista. Anche se venne instaurato solo nel secolo scorso, le sue radici si fissano nella preistoria. Quasi tutti i templi sono membri della Jinja Honcho, Associazione dei templi shintoisti.
- Shintoismo settario (Shuha Shinto o Kyoha): è composto dai tredici gruppi (Kurozumikyō, Shintoismo Shuseiha, Izumo Ōyashirokyō, Fusōkyō, Jikkōkyō, Shinshūkyō, Shintoismo Taiseikyō, Ontakekyō, Shintōtaikyō, Misogikyō, Shinrikyō, Konkōkyō ed il Tenrikyō (che però nel 1970 ha formalmente dichiarato di non essere una forma di Shintoismo) formatisi durante il XIX secolo, quando i templi shintoisti vennero separati dalle altre istituzioni religiose ed usati per condurre riti e celebrazioni sotto la direzione dello Stato (lo Shintoismo di Stato).
- Shintoismo popolare (Minzoku Shinto): è la forma praticata dalla gente senza essere formalizzata; include le numerose, ma frammentate, credenze popolari in spiriti e divinità. Le pratiche includono divinazione, esorcismo e guarigioni sciamaniche. Alcune di queste pratiche provengono dall'influenza del Taoismo, del Buddhismo e del Confucianesimo, altre sono diretta espressione delle tradizioni locali.
- Shintoismo di Stato (Kokka Shinto): fu il risultato della Restaurazione Meiji e della caduta dello shogunato. Tentò di purificare lo Shinto abolendo molti ideali buddhisti e confuciani. Secondo la maggior parte delle opinioni fu un tipo di Shintoismo fortemente monopolizzato, a volte addirittura talmente distorto da perdere i suoi significati ed insegnamenti religiosi divenendo una mera forma di nazionalismo. In seguito alla sconfitta giapponese nella seconda guerra mondiale venne abolito e l'imperatore forzato a rinunciare al suo status di divinità.

Chiesa shintoista

shinto


Nel febbraio 1946, con la pubblicazione della cosiddetta Direttiva shintoista, tutti i templi si organizzarono in un'amministrazione nazionale chiamata Associazione dei templi shintoisti, a tutti gli effetti una Chiesa shintoista, termine poco ortodosso anche se comunemente utilizzato. Il nome in giapponese è Jinja Honcho. Lo scopo di questa istituzione fu subito quello di organizzare e conservare la tradizionale cultura religiosa giapponese. La Chiesa oggi amministra migliaia di templi in tutto il Giappone e un centinaio di scuole. Negli ultimi decenni ha dimostrato una certa apertura anche verso Paesi esteri, ha infatti iniziato ad esportare lo Shintoismo, edificando i primi templi in America e Australia e ordinando i primi sacerdoti shintoisti non-giapponesi.

Organizzazione clericale
Dopo l'era Meiji, quando il Giappone aprì ufficialmente le porte all'Occidente per scambi commerciali, il sistema ereditario dell'ordine sacerdotale shintoista fu abolito, introducendo il sistema del seminario similmente ad altre religioni, sebbene esistano ancora oggi alcuni templi a conduzione familiare. I sacerdoti sono liberi di sposarsi e condurre una vita familiare al di fuori di quella religiosa.

Il sistema sacerdotale shintoista è suddiviso in quattro ordini principali: Johkai, Meikai, Gonseikai e Kokkai. Ogni sacerdote (kannushi) di questi gruppi intraprende una carriera caratterizzata da sei gradi di specializzazione: il Grado Superiore, il Primo grado, il Secondo, il Grado intermedio, il Terzo e il Quarto grado. Il superamento di questi gradi consente l'accesso all'ordine successivo. I livelli successivi all'intermedio sono conferiti solo ai sacerdoti che professano da più di vent'anni, sebbene esistano eccezioni dovute alla particolare cultura, saggezza e preparazione dell'individuo. Per diventare Guji, ovvero il sacerdote capo di un tempio importante, è necessario ottenere il grado più alto dell'ordine Meikai. Per diventare Guji di un tempio poco eminente si deve raggiungere il massimo grado dell'ordine Gonseikai.

Dopo la seconda guerra mondiale il sacerdozio è stato aperto anche alle donne, oggi molto importanti nel clero shintoista: infatti la pratica del Kaguramai, la danza sacra in onore degli dèi è generalmente svolta solo dalle donne e l'autorità principale del tempio di Ise, comunemente considerato il cuore dello Shintoismo, è una sacerdotessa. Non bisogna confondere una sacerdotessa (kannushi) da una miko. Il ruolo di miko, le cosiddette vergini, è solitamente assegnato per un determinato periodo a ragazze o adolescenti (di solito di sesso femminile), e di frequente si tratta delle figlie dei sacerdoti. Il compito del o della miko è quello di assistere i sacerdoti nei vari preparativi dei riti e delle feste, ruolo molto simile a quello dei chierichetti cristiani. Le miko sono contraddistinte dal caratteristico abito bianco e rosso.

Oggi il sacerdozio si può ottenere attraverso un sistema a seminari, frequenti in tutto il Giappone e spesso gestiti dai templi. Esistono anche corsi di sacerdozio shintoista in due università: l'università di Kokugakuin a Tokyo e l'università di Kogakkan nella prefettura di Mie, entrambe amministrate dalla Jinja Honcho. In aree di provincia è comune, in assenza di un sacerdote, assegnare annualmente la celebrazione dei rituali e delle festività a un membro della comunità, anche senza titolo sacerdotale.

Pratiche ed Insegnamenti

shinto5


Vita dopo la morte
Secondo la fede Shintoista, lo spirito umano è eterno, proprio come i kami. Come nella maggior parte delle concezioni orientali l'aldilà è concepito dallo Shintoismo come una sorta di livello esistenziale superiore. Quando si muore dunque, per lo Shintoismo, si cambia semplicemente forma di esistenza, si accede ad un altro tipo di esistenza. Questa è la concezione più moderna.

Poiché lo Shintoismo è coesistito pacificamente con il Buddhismo per oltre un millennio è molto difficile separare le credenze buddhiste da quelle shintoiste. Si può dire che mentre il Buddhismo enfatizza la vita dopo la morte, lo Shintoismo enfatizza questa vita e la ricerca della felicità in essa, sebbene abbiano prospettive molto diverse sul mondo, la maggior parte dei giapponesi non vede alcuna necessità di riconciliare le due religioni e pertanto le pratica entrambe. Perciò è comune per molte persone praticare lo Shintoismo in vita ed essere comunque sepolte con un funerale buddhista.

Nello Shintoismo antico veniva ovviamente dato maggior peso alla mitologia. Si credeva in una serie di paradisi, già c'era quindi la concezione della pluralità esistenziale, anche se non espressa filosoficamente tra il popolo. Tra questi paradisi si annoverano: l'aldilà del cielo, l'aldilà Yomi, l'aldilà Tokoyo, l'aldilà delle montagne. Questi luoghi non sono descritti né come posti ameni né con caratteristiche infernali, ma come luoghi molto simili al mondo terrestre.

Etica

shinto7
« La sincerità porta alla verità. La sincerità è saggezza, che unisce l'uomo e il divino in un tutt'uno. »

« Sii caritatevole con tutti gli esseri: l'amore è la prima caratteristica del divino. »



Lo Shintoismo presenta un'infinità di insegnamenti positivi, che nascono anche come conseguenze dei suoi precetti fondamentali. Una prima regola etica è sicuramente la disponibilità verso gli altri. La religione shintoista insegna che l'uomo deve sempre offrirsi per aiutare il prossimo, caritatevolmente, sinceramente e amorevolmente, per mantenere l'armonia e il benessere nella società. Conseguentemente lo Shintoismo incita al contenimento dell'egoismo e dell'egocentrismo, promuovendo invece l'umiltà.
La natura è eterna simmetria ed equilibrio.

« Non vi è posto per l'egoismo nello Shinto. »



Minamoto Yoshitsune:

« Ammettere uno sbaglio è il primo segno di una grande saggezza. »



Il culto shintoista pone, in generale, al primo posto l'interesse della comunità e il pubblico benessere. Ciò non significa che i diritti individuali e la famiglia siano ignorati. Al contrario, è sullo sfondo dei riti religiosi, come conseguenza delle azioni verso gli altri, che l'intimità, il carattere individuale di una persona e i suoi rapporti con il prossimo, sono ampiamente promossi.

Sebbene lo Shintoismo non abbia comandamenti assoluti al di fuori di vivere una vita semplice ed in armonia con la natura e le persone, si dice che ci siano Quattro Affermazioni che esprimono tutto lo spirito etico di questa religione:

- La famiglia è il nucleo principale della vita di una persona, è il gruppo in cui e attraverso cui una persona cresce, e da cui eredita un approccio e una visione del mondo ben precisi. Di conseguenza a questa grande importanza, il nucleo familiare è un fondamento necessario al benessere dell'individuo, e come tale va tutelato ed in particolare mantenuto armonico.
- La natura è sacra, in quanto espressione del divino; conservare un contatto con essa comporta il raggiungimento della completezza e della felicità, e significa mantenersi vicini ai kami. Come tale la natura va rispettata, venerata e soprattutto tutelata, poiché è da essa che deriva l'equilibrio della vita.
- La pulizia è un componente essenziale dello Shintoismo, pulizia consente purezza, e la purezza è una delle massime virtù. La pulizia è essenziale per condurre una vita armoniosa: il fedele shintoista ne fa largo uso, sia su se stesso che negli ambienti in cui vive; i templi shintoisti vengono tenuti sempre impeccabilmente puliti dai sacerdoti.
- I matsuri sono i festival dedicati ai kami. In questi giorni il fedele shintoista prega nei templi, o nella propria casa. Per festeggiare le divinità, vengono allestiti feste, processioni e banchetti. I matsuri vengono organizzati dai templi o dalle comunità. Queste feste sono parecchie durante l'anno e vanno da quelle più importanti e nazionali a quelle dei piccoli paesi. I giorni normali sono chiamati ke ("giorno") e quelli di festa sono detti hare ("soleggiato" o semplicemente "buono").

Purificazione
Concetto di impurità

shinto9


Secondo lo Shintoismo non c'è niente di peccaminoso di per sé, piuttosto certi atti creano un'impurità rituale che una persona dovrebbe voler evitare semplicemente per ottenere pace mentale e buona fortuna, non perché l'impurità sia sbagliata in se stessa. Il male e gli atti sbagliati sono chiamati kegare (letteralmente "sporcizia"), e la nozione opposta è kiyome (letteralmente "purezza"). L'uccisione di un essere vivente, considerata come atto impuro, dovrebbe essere fatta con gratitudine e con riverenza nei confronti dell'animale e ridotta al minimo, praticata solo quando altamente necessario.

I giapponesi moderni continuano a enfatizzare grandemente l'importanza dell'aisatsu, l'insieme di frasi e saluti rituali. Prima di mangiare, molti giapponesi dicono itadakimasu ("ricevo umilmente [questo cibo]"), in modo da prestare un appropriato rispetto per chi ha preparato ed in generale per tutti quegli esseri viventi che hanno perso la loro vita per permettere quel pasto. La mancanza nel mostrare rispetto può essere considerata come un segno di orgoglio ed un'assenza di preoccupazione per gli altri. Questa attitudine è evitata, perché si pensa che possa causare problemi per tutti. Chi fallisce nel tenere in giusto conto i sentimenti delle altre persone e dei kami attrarrà su di sé la propria disgrazia. La peggior espressione di questa attitudine è lo sfruttare la vita degli altri per il guadagno o godimento personale. Si crede che le persone uccise per mano altrui provino urami ("rancore") e diventino aragami, spiriti potenti e malvagi che cercano vendetta. Per tutti questi motivi, nelle moderne aziende giapponesi, non viene intrapresa alcuna azione prima che venga raggiunto un consenso e una consapevolezza unanime

Riti purificatori
I riti di purificazione sono una parte vitale dello Shintoismo e sono stati adottati anche nella vita moderna. Un rito di purificazione personale è legato all'acqua, elemento purificatore per eccellenza: consiste nel rimanere sotto una cascata o nell'eseguire delle abluzioni rituali alla foce di un fiume o nel mare, oppure semplicemente mediante le apposite fonti dei templi; quest'ultima pratica è richiesta quasi sempre prima dell'accesso al luogo sacro. Queste due forme di purificazione sono spesso dette 祓 harai. Una terza forma di purificazione è l'astensione da qualcosa, cioè un tabù (per esempio alle donne non venne permesso di scalare il Monte Fuji fino al 1868). I tabù sono pressoché scomparsi nello Shintoismo moderno. Tra le altre credenze vi è quella di non pronunciare parole considerate di cattivo auspicio ai matrimoni, come ad esempio la parola tagliare, o non partecipare ai matrimoni se di recente si è persa una persona cara.

Nelle cerimonie di purificazione vengono generalmente utilizzati vari elementi simbolici, tra i quali spiccano la già citata acqua, il sale e la sabbia. Gli atti generali di pulizia sono chiamati misogi, mentre in specifico, la purificazione personale all'ingresso dei templi, che consiste nel lavarsi mani e bocca, è chiamata temizu o anche imi. Un rituale misogi ancora oggi molto praticato è quello che consiste nel gettare acqua nei dintorni della propria casa, per ottenerne la purezza.

I riti di purificazione sono sempre il primo atto di una qualsiasi cerimonia religiosa, e vengono praticati anche per benedire avvenimenti importanti. Per esempio i nuovi edifici costruiti in Giappone vengono spesso benedetti da un sacerdote shintoista, come vengono benedetti anche i nuovi aerei o le nuove automobili. Questo tipo di rituale purificatorio è chiamato jichinsai. Addirittura un rito di questo tipo venne tenuto nel 1969 per benedire la missione sulla Luna dell'Apollo 11.

Il sale è, dopo l'acqua, l'altro elemento importante nei rituali di purificazione. Le cerimonie legate al sale vengono genericamente chiamate shubatsu. Vi sono varie cerimonie in cui il sale viene sparso in un determinato luogo per eliminare le impurità, chiamate maki shio (letteralmente "sale sparso"). Di solito all'ingresso delle case vengono posti dei contenitori di sale, chiamati mori shio, che si crede abbiano l'effetto di purificare chiunque entri nell'abitazione. Il maki shio è praticato nelle case, e anche, alternativamente o insieme all'acqua, prima della costruzione di un edificio. Il sale viene offerto simbolicamente anche alle divinità, ponendolo sugli altarini domestici kamidana (vedere la sezione sul culto domestico).

Venerazione

« Una preghiera sincera giunge al cielo. Una preghiera sincera realizzerà sicuramente la divina presenza. »

« Il primo e più sicuro passo per entrare in comunione con il divino è la sincerità. Se si prega una divinità con sincerità, si riesce a percepire la divina presenza. »




La venerazione, nello Shintoismo, ha una valenza molto profonda ed è considerata un atto puro e sincero. Il rito shintoista tende a soddisfare i sensi dell'uomo e ad armonizzare e pacificare la mente. Ciò è favorito dalla forte estetica del rito stesso, caratterizzata da immagini, suoni e profumi. Le cerimonie sono dunque innanzitutto volte a manifestare riverenza e ammirazione nei confronti della grandezza infinita dei kami, ma anche, e non da meno, lo scopo delle cerimonie è quello di rendere l'uomo cosciente della verità che lo circonda, facendone scaturire pace e armonia.

Culto templare

shinto6


Nello Shintoismo moderno il cuore del culto è sicuramente il tempio (jinja), in cui si celebrano numerose cerimonie e pratiche. Non c'è un giorno preciso della settimana in cui si svolgono le cerimonie, i templi sono infatti costantemente aperti e disponibili per i fedeli, che possono recarvisi per pregare gli dèi e fare offerte in qualsiasi momento desiderino. Gli spazi sacri tendono ad essere particolarmente affollati soprattutto nei giorni in cui cadono i matsuri, ovvero i festival nazionali. Il tipo di preghiera con cui il fedele cerca un contatto con i kami non segue regole specifiche, ognuno può infatti avere un approccio totalmente personale alla venerazione. Generalmente, nei giorni non festivi, ci si reca al tempio chiedendo agli dèi protezione costante sulla famiglia, fortuna per superare esami scolastici, e ovviamente molto altro.

La venerazione corrisponde sempre ad un contatto con il mondo naturale, che rende i templi oasi di pace all'interno delle caotiche città. Il culto templare sottolinea l'appartenenza dell'uomo all'universo di cui è parte. I riti aiutano il fedele a comprendere la via che deve intraprendere nella vita, gli offrono forza e sostegno per superare le difficoltà e sostengono la sua visione spirituale del mondo, tra sacralità e purezza. L'estetica del tempio, sostanzialmente, è un elemento fondamentale per la preghiera e la venerazione, è un tutt'uno con esse. Il tempio è infatti considerato un edificio mistico, un luogo in cui è possibile trovare un contatto e respirare la sacralità del mondo, che il luogo sacro in un certo senso canalizza.

I rituali collettivi sono organizzati dai sacerdoti. Questi rituali sono molto precisi e dettagliati, rappresentano infatti l'equilibrio del mondo, e con un tale significato vanno rispettati nella loro interezza. Il modello rituale divenne comune a tutti i templi nel corso del XIX secolo. Oggi, la Jinja Honcho, nella sua costante opera di modernizzazione dello Shintoismo, sta introducendo nuovi modelli rituali, più adatti all'era moderna.

Culto domestico
La venerazione non deve essere un atto esclusivamente pubblico, è infatti spesso praticata anche tra le mura domestiche. È comune allestire degli altarini, chiamati kamidana (letteralmente "mensola dei kami"), su cui comunemente viene posizionato uno specchio, l'oggetto che meglio consente di dare una rappresentazione dei kami. È possibile inoltre aggiungervi oggetti sacri come ad esempio amuleti, acquistabili presso i templi. L'altare è utilizzato per offrire preghiere e incenso alle divinità, oltre ad una serie di elementi tradizionali tra cui: il sale, l'acqua e il riso

Luoghi naturali

shinto8


In alternativa a templi ed altari domestici, un luogo considerato sacro, a volte addirittura più degli edifici costruiti dall'uomo, è la natura stessa. Montagne, laghi, isole, scogliere, spiagge, foreste, prati; in quanto questi ambienti incontaminati sono la massima espressione del divino, rappresentano una delle vie per giungere alla contemplazione del sacro e alla percezione della dimensione divina dell'universo

Offerta
Un'offerta, nello Shintoismo, è un rituale simbolico che consente di donare qualcosa agli dèi, mettendosi in contatto con loro. Ci sono vari tipi di offerta, anche se i più comuni sono gli ema e gli origami.

Gli ema (絵馬) sono generalmente atti di donazione da parte dei fedeli ai templi. In epoca medievale i ricchi potevano donare dei cavalli ad un tempio, specialmente quando richiedevano l'aiuto della divinità (ad esempio per vincere in battaglia). Per favori di entità minori divenne costume donare la pittura di un cavallo in forma simbolica, e questi ema sono popolari anche oggigiorno. Il fedele può acquistare al tempio una tavoletta di legno con sopra l'immagine di un cavallo, o di altri elementi (simboli dello zodiaco cinese, persone o oggetti associati al tempio, e altro), vi scrive sopra un desiderio o una preghiera e l'appende ad una bacheca nel tempio. In alcuni casi se il desiderio si avvera o la preghiera viene soddisfatta ne appende un altro come ringraziamento. In molti templi è consueto anche offrire origami.

Concezione di divinità
Lo Shintoismo è una religione cosmica. Con questa definizione si intende affermare che si tratta di una religione che vede tutto il cosmo, ovvero tutto ciò che esiste, come pura manifestazione del divino, è dunque una religione dai caratteri panteistici. Nella religione shintoista ogni cosa è sacra poiché la materia stessa che costituisce tutte le cose che esistono ha un fondamento divino. In primo luogo dunque la principale forma di entità divina è l'esistenza stessa, la natura, qualunque essa sia. Procedendo su questo piano, e affermando le forti basi animistiche su cui si basa, si può dire che lo Shintoismo insegna che ogni cosa è detentrice di una forza divina, una divinità, uno spirito che la presiede e ne forgia l'esistenza.

Energia cosmica
Nella cosmologia shintoista tutto l'esistente è pervaso da un'energia primordiale, che alimenta e compone tutta la materia e tutte le sue manifestazioni, è il Musubi. Questa forza mistica è paragonabile al Tao del Taoismo, un'energia cosmica che dà origine al tutto e causa l'evoluzione del tutto, attraverso l'eterno ciclo dell'esistenza. Esso è il legame intimo che c'è tra tutte le cose, l'elemento comune a tutto ciò che fa parte del cosmo. Il Matsubi è inoltre la forza armonica e universale che lega indissolubilmente il mondo fisico umano al mondo spirituale degli dèi, i kami.

Come la maggior parte delle tradizioni orientali, anche lo Shintoismo è una religione ciclica. Nello Shintoismo l'esistenza, in tutte le sue forme, si origina innanzitutto dall'esprimersi del principio cosmico in una dualità, due forze polarmente opposte, il principio negativo In e il principio positivo Yo, corrispondente al rapporto di Yin e Yang della cosmologia taoista. Dall'avvicendarsi di queste due forze primordiali e opposte scaturisce tutta l'esistenza, sia essa fisica e materiale sia spirituale. I kami, come gli uomini, hanno origine dallo scontro eterno tra queste due polarità.

Nella versione mitologica della cosmologia, le due divinità primordiali Izanami e Izanagi, corrispondono ai due principi In e Yo.

Trinità shintoista
Parlando di trinità shintoista una cosa assolutamente erronea è pensare ad un concetto trinitario analogo a quello del Cristianesimo. Si può dire che la trinità shintoista non sia altro che il frutto del rapporto cosmico tra i due poli primordiali dell'energia. Di questa triade fanno parte i suddetti In e Yo (i due poli), corrispondenti ai principi taoisti Yin e Yang, e una terza parte, chiamata in cinese Yuan. Questa terza parte rappresenta ciò che nasce dall'interazione dei due principi primordiali, simboleggia i fenomeni e le manifestazioni prodotti dall'eterna interdipendenza di essi. Rappresenta, più sinteticamente, la terza fase della cosmologia shintoista, seguente a quella della bipolarità, ovvero la manifestazione dell'energia cosmica. Questa manifestazione finale che scaturisce dall'interazione eterna delle due forze primordiali è la natura dell'universo, la sua esistenza stessa, la sua vita, il suo continuo progredire in cicli eterni, nonché la sua molteplicità, sia essa spirituale, manifesta attraverso gli dèi del cosmo, i kami, sia essa fisica, ossia corrispondente al livello esistenziale umano.

Misticismo della natura
Uno scrittore nato in Galles, trasferitosi poi sulle alture di Kurohime in Giappone, scrisse di un'esperienza in Africa, quando fu condotto da un cacciatore locale in un luogo considerato sacro dai Pigmei, nella foresta pluviale dello Zaire. L'episodio è il seguente:

« Lì trovammo una caverna, circondata da alti alberi. Si poteva udire solo il canto degli uccelli, il muoversi delle scimmie tra le fronde degli alberi e lo scrosciare di una cascata. Era un luogo meraviglioso. Il basso cacciatore dalla pelle bruna che ci aveva guidato in quel posto indossava solo un gonnellino a cinta, un arco e delle frecce avvelenate. Strappò un fiore e se lo mise tra i capelli. Qualcuno chiese: "Come fai a sapere che il divino è qui? Puoi vedere qualcosa di divino?" Pensai che non avesse senso fare una domanda simile, ma il cacciatore rispose con un sorriso: "Non posso vederli, ma so che gli esseri divini sono intorno a noi". »



Questa citazione è una vivida rappresentazione dell'essenza della fede shintoista, ovvero un grande amore e riverenza per la natura, in tutte le sue possibili manifestazioni. Lo Shintoismo infatti colloca la natura in una particolare luce, ogni cosa è di per sé sacra, ogni essere vivente e ogni roccia nell'universo. La natura è considerata sacra in quanto manifestazione della forza dei kami e dimora eterna di essi stessi. Nella visione shintoista valli, montagne, abissi, foreste, fiumi, persino le città e le foreste artificiali ripiantate dall'uomo sono delle manifestazioni dell'essenza divina dell'universo, in quanto la materia stessa di cui ogni cosa è costituita ha una base, un fondamento divino.
Un'oasi naturale a Tokyo.

È per questo motivo che nello Shintoismo spicca l'importanza assoluta della natura, che ha portato all'usanza di costruire templi soprattutto nel cuore di boschi e zone di pace e silenzio meditativo. Un filosofo spagnolo scrisse:

« Lo spettacolo più stupefacente di tutte le meraviglie del Giappone è la spontaneità e la dimensione naturale della sua religione, caratterizzata dai templi immersi nel verde, quasi ad indicare che il luogo migliore nel quale andare a cercare il divino, non è altro che il mondo intorno a noi. »



Un contesto religioso di questo genere risulta incredibilmente adatto alla mentalità moderna dell'uomo. Mentre infatti si tende sempre di più a diffidare del trascendente, cresce un tipo di teologia che vede come divina la materia stessa che costituisce tutte le cose, in quanto generata dalle grandi energie divine che pervadono tutto l'universo. È in questo modo che lo Shintoismo sopravvive in un Paese costellato da tecnologie avanzatissime tra cui i robot, sempre più diffusi. In una visione del mondo in cui ogni cosa che esista si ritiene abbia uno spirito, infatti, anche un robot deve conseguentemente averne uno. Questo spirito non è da intendere nel senso cristiano del termine, poiché questa essenza divina di un robot non è altro che parte della matrice divina che genera tutte le manifestazioni dell'universo. Detto più semplicemente, lo spirito del robot è contenuto nella materia stessa di cui il robot è costituito, poiché la materia stessa è generata dal divino.

La scienza moderna è arrivata a scoprire che gli atomi sono costituiti da ulteriori particelle subatomiche, queste particelle subatomiche generano attività muovendosi da una polarità positiva ad una negativa, corrispondenti alle due polarità che danno origine a tutte le manifestazioni dell'universo nelle filosofie legate al concetto di Yin e Yang.

Kami
Concetto base

« Tutto ciò che c'è di maestoso e solenne, che possiede le qualità dell'eccellenza e della virtù ed ispira un sentimento di meraviglia, è considerato kami »



(Motoori Norinaga)

I kami, termine tradotto in genere con "dèi", "divinità", sono le entità spiritiche che popolano tutto l'universo, sono gli spiriti della natura, e si esprimono attraverso essa. Per il fedele shintoista una cascata, la Luna o semplicemente una roccia, possono essere considerati come espressione dei kami ed elementi mistici in grado di porre in contatto con la sfera divina. Anche semplici forze, ovvero i cicli che regolano l'universo, come la fertilità o la crescita, possono essere visti come manifestazione delle impercettibili forze divine che popolano la natura.

I kami sono stati definiti anche con il termine li, ovvero "intelligenze innate", oppure "principi". Questa miriade di definizioni sta ad indicare la complessità nel dare una spiegazione al concetto stesso di divinità shintoiste. Spesso è utilizzato anche il termine cinese shen ("esseri di luce", "divinità"), forma più originale di shin, la radice della parola Shinto (etimologia completa spiegata nell'introduzione).

I kami non sono dunque divinità trascendenti; sebbene siano impalpabili, popolano lo stesso universo in cui si trova l'uomo, si trovano solo ad un livello esistenziale superiore. Nel tempo l'immagine dei kami è andata a caratterizzarsi, tanto che è comune trovarli rappresentati in forma antropomorfa, e circondati da ampi corollari mitologici; tuttavia il messaggio essenziale è rimasto invariato, le raffigurazioni sono solo delle maschere, volte a rendere concepibili all'uomo concetti così complessi. È molto frequente, infatti, in particolare nello Shintoismo moderno, l'utilizzo di uno specchio per rappresentare le divinità. Questa è la migliore raffigurazione che possa far comprendere all'uomo moderno un concetto così profondo. Lo specchio sta infatti ad indicare che ogni cosa riflessa da esso è incarnazione e manifestazione degli dèi. In alternativa, come raffigurazione, vengono anche utilizzate composizioni geometriche di carta o di stoffa.

I kami sono collettivamente chiamati Yaoyorozu no Kami (八百万の神, Yaoyorozu no Kami? letteralmente "otto milioni di kami"). Il nome arcano Yaoyorozu ("otto milioni") non è il numero esatto, ma piuttosto un modo simbolico di indicare l'infinito in un'epoca in cui questo concetto non esisteva. Il kami più importante, e certamente il più invocato e venerato è la dea del Sole Amaterasu. Il tempio principale a lei dedicato è situato a Ise e ad esso sono affiliati numerosi templi minori.

Kami particolari

shinto4


Nella classificazione kami possono essere inclusi anche altri tipi di spiriti, ed entità:

- Dosojin: i dosojin o sai no kami o ancora dorokujin, sono le divinità delle strade e dei sentieri, ovviamente più in senso metaforico che in senso lato, quindi strade è da intendere anche come i sentieri della vita, le direzioni e le scelte che la caratterizzano. I luoghi in cui si dice siano soliti manifestarsi sono contrassegnati da pietre o sculture, poste ai lati delle strade, oppure agli incroci o in prossimità dei ponti. In qualità di divinità patrone dei confini, i dosojin si dice proteggano dagli spiriti maligni e da catastrofi o incidenti stradali. Le pietre di segnalazione dai luoghi in cui presenziano rappresentano solitamente piccoli esseri antropomorfi, o in alternativa possono essere semplici pietre con inscrizioni. In alcuni paesi si ritiene che i dosojin siano manifestazioni del kami della fertilità, in altri casi del kami patrono dei bambini. I popolari festival del fuoco del Giappone, che si tengono il 15 gennaio di ogni anno, sono conosciuti con il nome di festival dei dosojin. L'usanza prevede che in questa giornata vengano bruciati tutti gli ornamenti, i talismani e altre decorazioni utilizzate nei templi durante la festa del Nuovo Anno. Le decorazioni, solitamente di bambù e carta, vengono gettate nel fuoco per propiziare salute e ricchezza per l'anno appena iniziato. Questa tradizione legata al fuoco ha molti nomi, tra cui Sai no Kami, Sagicho e Dondo Yaki. La tradizione vuole che dal crepitio delle fiamme si riesca ad interpretare se l'anno sarà ricco e prospero. L'origine delle pietre dosojin si è persa nelle nebbie del tempo. Tradizioni simili si possono comunque riscontrare nel mondo buddhista (nello stesso Giappone i dosojin in stile buddhista sono detti jizo), la tradizione stessa delle pietre di segnalazione di spiriti nei pressi delle strade è rintracciabile ad esempio in India, dove il Buddhismo nacque all'incirca nel 500 a.C. Il Buddhismo fu introdotto in Giappone solo nel VI secolo dopo Cristo, e con esso probabilmente la tradizione dei dosojin.
- Ujigami: gli ujigami (氏神, letteralmente "kami con un nome") sono kami particolari, che si ritiene siano protettori di una specifica località o un singolo paese e in molti casi si tratta degli spiriti dei fondatori del paese stesso. I membri della comunità che venera un ujigami sono solitamente chiamati ujiko (anche se questo nome spesso sta ad indicare il gruppo di persone addette alla manutenzione dei templi di provincia). Queste caratteristiche rendono il culto degli ujigami molto simile a quello dei santi cristiani.
- Mizuko: i bambini che muoiono in età infantile senza essere stati aggiunti alle liste di un tempio (vedi la sezione culto templare), divengono mizuko (letteralmente "bambino d'acqua") e si ritiene che causino problemi e pestilenze. I mizuko vengono spesso adorati in templi specifici con lo scopo di placare la loro rabbia e tristezza. Questi templi sono diventati più popolari nel Giappone moderno con l'aumento degli aborti.
- Spiriti ancestrali: lo Shintoismo insegna che ogni essere vivente possiede una propria anima, chiamata reikon che, con la morte assume uno status simile a quello dei kami. Coloro che muoiono senza problemi e in felicità divengono spiriti ancestrali, festeggiati nel giorno di Obon. Essi possono essere pertanto venerati come tenjin ("spiriti celesti"), e può essere loro richiesta protezione sulla famiglia e sulle vicende ed attività familiari; un'usanza molto simile, dunque, a quella di molte altre grandi religioni. Per persone molto eminenti e sagge può essere edificato anche un tempio, pratica comune se il defunto era particolarmente popolare.
- Yurei: gli yurei sono i fantasmi. Mentre le anime felici diventano spiriti ancestrali, chi muore infelice o di morte violenta si sostiene divenga un fantasma, uno degli stati spirituali più vicini a quello umano sia per lo Shintoismo che per il Buddhismo. Il termine yurei significa letteralmente "fantasmi tormentati", perché questi spiriti tenderebbero a causare problemi.
- Spiriti zoomorfi: la maggior parte dei templi shintoisti, presenta ai lati dell'ingresso due statue raffiguranti creature dall'aspetto di cani-leoni, sono i cosiddetti komainu, raffiguranti gli spiriti guardiani del tempio che tengono lontane le entità maligne. I templi dedicati ad Inari fanno eccezione, sono infatti tipicamente guardianati da tanuki (animali simili ai procioni in grado di trasformarsi in uomini) e uccelli antropomorfi chiamati tengu. Ovviamente nel tempo sono nate molte varianti, si possono trovare ad esempio anche spiriti dall'aspetto di scimmie. Ad ogni modo tutti questi spiriti sono collettivamente chiamati Henge, che significa "muta-forma", poiché si crede che possano assumere sembianze umane. La tradizione di questi spiriti guardiani è rintracciabile anche nelle tradizioni buddhiste e taoiste. Vi sono centinaia di leggende che narrano di incontri tra umani e queste creature magiche, considerate a volte benefiche e a volte malefiche. Fanno parte di questa categoria anche i due kami zoomorfi più comuni, il kappa e il drago.
- Forze della natura: anche alcune forze ed elementi della natura, sono considerate manifestazioni della matrice divina di tutto l'universo. Queste forze possono includere quelle rappresentate dai vulcani, come ad esempio il Monte Fuji, caratterizzato dalla sua dea protettrice. Oltre ad essi ogni luogo particolare, come ad esempio una scogliera, una cascata, un lago, vengono visti dai fedeli shintoisti come luoghi di intenso potere spirituale.

Oni, demoni maligni.

- Yokai: il termine è solitamente tradotto con demoni. È una categoria non molto definita, che a volte può sconfinare nelle altre. Generalmente si tratta di esseri che abitano una dimensione molto vicina a quella umana. Si dice che la maggior parte di essi eviti l'incontro con gli uomini, anche se esistono eccezioni. Gli yokai sono generalmente associati al fuoco e all'estate, poiché verrebbero attirati dal calore. Sono rappresentati, di solito, con aspetto grottesco e terrificante.

Inutile non dire che la credenza in queste manifestazioni spirituali abbia fortemente influenzato la moderna industria degli Anime, i cartoni animati giapponesi. In essi si possono riscontrare centinaia di personaggi e spiriti ostensivamente ispirati ai kami e agli spiritelli della religione shintoista.

La questione dell'imperatore
Va detto sin dal principio che la venerazione dell'imperatore non era prevista nello Shintoismo precedente alla Restaurazione Meiji (o comunque era molto meno enfatizzata), ma introdotto da quest'ultima per rafforzare il potere imperiale. Il culto dell'imperatore è crollato insieme al crollo dello Shintoismo di Stato con la fine della seconda guerra mondiale.

Il Tenno (imperatore) venne considerato essere il discendente di Amaterasu e padre di tutti i Giapponesi ed era pertanto un kami sulla Terra (un ikigami o "kami vivente"). Con la Restaurazione Meiji il culto venne reso popolare, ma precedentemente i governatori militari (Shogun) erano riusciti più volte ad usurpare il potere, nonostante l'imperatore venisse sempre visto come il vero governatore del Giappone anche nei periodi in cui la carica fu solo simbolica. Sebbene Hirohito rinunciò al suo status divino nel 1946, sotto pressioni americane (Ningen sengen), la famiglia imperiale rimase profondamente coinvolta nei rituali shintoisti che unificano simbolicamente la nazione giapponese (Shintoismo imperiale). Questa dichiarazione, pur essendo stata emanata per ragioni politiche, è religiosamente parlando priva di significato ed indicò soltanto la fine dell'imposizione dello Shintoismo di Stato

Templi

shinto12


La pratica della costruzione di templi shintoisti, in giapponese jinja o jingu, ebbe origine con l'introduzione del Buddhismo, probabilmente ad imitazione dei templi di quest'ultima tradizione. Il rito shintoista infatti, in origine, veniva praticato all'aperto, di solito con piccoli reliquiari mobili o in aree chiamate miya. Ovviamente era possibile trovare eccezioni, templi fissi, i primi dei quali sono identificabili come la forma primordiale di architettura shintoista.

Stili
Il tempio si è poi adattato a differenti stili architettonici, oltre a quello buddhista assorbì anche caratteristiche degli stili taoista e confuciano. Oggi si possono trovare templi manifesto di ognuno di questa miriade di stili, da quello utilizzato nella maggior parte dei templi, allo stile del tempio di Ise caratterizzato dai tetti in paglia, allo stile moderno. Nell'apparente caos stilistico lo Shintoismo mantenne le sue regole di costruzione più originali, in particolare i materiali utilizzati, la disposizione dei locali del tempio e gli ornamenti simbolici. Caratteristica comune a tutti i templi tradizionali è l'utilizzo di materiali da costruzione naturali, il legno in primis, sebbene con l'importazione degli stili architettonici cinesi si ebbe una discreta diffusione dell'utilizzo della pietra, oltre all'introduzione della pittura e della scultura. Il Buddhismo oltre all'architettura influenzò anche i rituali shintoisti e le raffigurazioni divine, infatti in epoca medievale avvenne un'esplosione di raffigurazioni shintoiste con marcati caratteri buddhisti.

Oggi sebbene la maggior parte dei nuovi templi tenda a rispettare gli stili tradizionali, altrettanto spesso si tende a sviare, sperimentando e proponendo nuovi stili architettonici, con la costruzione di templi decisamente futuristici, caratterizzati dall'utilizzo di materiali come l'acciaio, il cemento e il vetro.

Locali
Il tempio shintoista ha una struttura ben precisa. È sempre suddiviso in una serie di locali caratterizzati ognuno da una specifica funzione:

- Honden: il sancta sanctorum, è la zone più esclusiva del complesso templare, si tratta infatti del locale più sacro, che ospita la raffigurazione della divinità. Spesso questa zona è chiusa al pubblico e solo i preti possono averne accesso, per compiere i riti di purificazione.
- Haiden: la "sala della preghiera o "oratorio" è la zona in cui i fedeli possono recarsi a pregare e dove si tengono alcune cerimonie. È completata solitamente da panche e sedie, come in un tempio cristiano. Non è tuttavia la sola zona in cui si prega, infatti in templi speciali come quello di Ise, sia preti che laici offrono le loro preghiere sedendosi all'esterno, nei giardini del tempio.
- Heiden: è la "sala delle offerte". Non è presente in tutti i templi in quanto ognuno di essi tramanda propri riti per celebrare le offerte. Queste offerte sono simboleggiate da vivande, che possono essere disposte su tavoli, appese, sparse nei boschi o nell'acqua. In alcuni templi le offerte vengono accumulate negli heiden.
- Chokushiden: si tratta di una sala speciale dove si tiene la cosiddetta "comunione dei cibi", in giapponese ainame, durante la quale i fedeli mangiano le offerte stesse fatte alle divinità. Questo rituale simboleggia l'unione mistica tra l'uomo e il kami, permessa dal cibo, che viene assunto simbolicamente da entrambi.
- Altre sale: il tempio ospita spesso anche sale utilizzate per le pratiche rituali legate alla musica e alla danza. Furono introdotte nel periodo medievale. Sono solitamente due, collocate simmetricamente a destra e a sinistra della sala principale. Musica e danza sono considerati importanti, poiché si dice favoriscano l'armonia tra l'uomo e i kami.

Area d'ingresso
L'area d'ingresso di un tempio shintoista è nella quasi totalità dei casi contrassegnata dalla presenza di un torii. Il nome (che letteralmente significa "dove risiedono gli uccelli") indica il classico portale mistico che segnala l'entrata nell'area sacra, che oltre ad un tempio può essere una qualsiasi zona naturale caratterizzata da una forte bellezza e singolarità. Un torii è costituito da due pilastri verticali che ne sostengono due orizzontali, e completato da una tavoletta centrale, tra le due aste orizzontali, che solitamente riporta il nome del tempio, dell'area sacra o una frase particolarmente significativa. L'origine di questa struttura è pressoché sconosciuta e si perde nella leggenda (vedi il paragrafo nel capitolo sulla simbologia per approfondire).

Si tratta di un simbolo molto semplice, ma dai significati estremamente profondi, esso simboleggia principalmente il cancello che separa il mondo fisico dal mondo spirituale. Il torii è tradizionalmente costruito in legno e dipinto di colore rosso vermiglio. Ovviamente con il tempo, e in particolare nella modernità si sono presentate numerose varianti, tra cui la pietra e ancor più di recente il metallo.

Bosco sacro

shinto11


Inizialmente i templi shintoisti venivano edificati in zone incontaminate e isolate dai centri abitati. Sebbene con la grande urbanizzazione del Giappone, oggi, i nuovi templi (in particolare quelli piccoli) non abbiano più la caratteristica di essere immersi in boschi verdeggianti, i luoghi di culto principali tendono invece a conservarla. Questa tradizione va ricollegata senza dubbio alla sacralità della natura e al posto prominente che essa deve mantenere nella vita umana, per permettere all'uomo di rimanere sempre in equilibrio con il mondo. I giardini circondanti i templi sono parte fondamentale della religione shintoista, protettrice della natura in quanto divina. I boschi evocano quel tipo di armonia con il mondo e con il divino che l'uomo tecnologizzato tende sempre più a dimenticare. Subito dopo aver attraversato la prima tappa rappresentata dal torii, nei grandi templi, si accede immediatamente al bosco, attraversato di solito da un sentiero chiamato sando.

Il sando, che attraversa la zona boschiva e conduce alla struttura templare, è molto più di un semplice camminamento, rappresenta infatti un cammino mistico. Riflette il sentiero che l'uomo deve compiere per giungere alla comprensione del divino, ovvero intraprendere un passaggio attraverso la natura, unico vero mezzo per conoscere quale sia il mistero della vita. Il sando è un cammino rituale, che il fedele intraprende per giungere alla purificazione e liberare la mente, in modo da raggiungere la contemplazione e la venerazione dei kami con la spontaneità più pura possibile. Ai lati del sando, che spesso può essere anche una scalinata, sono poste di frequente statue di animali sacri, o lanterne di pietra, che dividono il percorso in una serie di tappe. È comune anche che il sando, in certi templi, attraversi un ponte, chiamato shinkyo. La traversata del ponte — e quindi dell'acqua — simboleggia la purificazione.

Il Giappone è uno dei Paesi più industrializzati al mondo: dire che il sessantasette per cento del suo territorio è ancora coperto da foreste sembrerebbe un paradosso, eppure si tratta della realtà. Probabilmente il Giappone, più che alla geografia territoriale e al carattere montagnoso, deve proprio alle sue tradizioni e ai suoi valori religiosi questo interessante ossimoro, un modello che di certo dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione.

Data la radicata credenza nella sacralità dell'universo i templi rappresentano in un certo senso un microcosmo, una piccola riproduzione degli elementi naturali nella loro essenza: il giardino rappresenta i boschi e le foreste di tutto il mondo, la fonte per le abluzioni il fiume, le pietre nei giardini rappresentano le montagne e infine gli stagni, rappresentano i mari e i laghi.

Conversione
L'espressione conversione allo Shintoismo non è poi così appropriata, difatti per diventare shintoisti non è necessaria nessuna conversione in senso stretto, ovvero nessun rituale particolare o l'adesione a una qualche comunità: questo perché lo Shintoismo non richiede nessuna trasformazione, in quanto si è già predisposti ad abbracciare questa religione, in quanto essa scaturisce dallo spirito profondo dell'uomo. In qualità di religione cosiddetta naturale, lo Shintoismo insegna che diventare shintoisti significa semplicemente credere nei suoi precetti, con coerenza e sentimento. Credere nei suoi valori e metterli in pratica, credere nei kami, gli spiriti della natura: queste sono le due condizioni essenziali che fanno di un uomo uno shintoista.

Effetti culturali dello Shintoismo

shinto1


Lo Shintoismo è stato definito «la religione della giapponesità» ed i valori ed usi di questa religione sono inseparabili da quelli della cultura giapponese precedente all'influsso delle idee cinesi che avvenne alla metà del VI secolo. Molte famose pratiche giapponesi hanno radici dirette o indirette nello Shintoismo. Per esempio alla base delle tipiche arti giapponesi delle composizioni floreali ikebana, dell'architettura tradizionale e dei giardini alla giapponese ci sono chiaramente gli ideali shintoisti di armonia con la natura. Un collegamento più esplicito allo Shintoismo è nel Sumo dove, anche nella versione moderna, alcuni rituali shintoisti vengono eseguiti prima di un incontro, come la purificazione dell'arena cospargendola di sale. È tuttora consuetudine per molti giapponesi dire Itadakimasu ("ricevo umilmente [questo cibo]") prima di mangiare e gran parte dell'enfasi giapponese sulle forme corrette di saluto può essere considerata una continuazione dell'antica credenza shintoista del kotodama (parole con un effetto magico sul mondo). Molte pratiche culturali giapponesi, come l'uso di bacchette di legno per mangiare o togliersi le scarpe prima di entrare in un edificio possano aver avuto origine da credenze e pratiche shintoiste.

Secondo alcuni, l'ideologia shintoista ha avuto un notevole impatto sulle nuove generazioni occidentali attraverso i manga e gli anime che ne sono fortemente permeati.


Info da wikipedia
 
Top
view post Posted on 20/12/2011, 23:29
Avatar

Millennium Member

Group:
Moderatore
Posts:
10,016
Location:
Winterfell and Tosa-han

Status:


INSEGNE IMPERIALI

a


Le insegne imperiali del Giappone (三種の神器, Sanshu no Jingi o i Tre sacri tesori) sono la spada Kusanagi (草薙剣) (che attualmente si ritiene sia una replica dell'originale), la gemma Yasakani no Magatama (八尺瓊曲玉) e lo specchio Yata no Kagami (八咫鏡). Conosciuti come i tre tesori sacri del Giappone, le insegne rappresentano le tre virtù di valore (la spada), saggezza (lo specchio) e benevolenza (la gemma).

La spada si trova al tempio di Atsuta a Nagoya, lo specchio al tempio di Ise nella prefettura di Mie e la gemma al Palazzo Imperiale di Tokyo. Dal 690 la presentazione di questi oggetti all'imperatore da parte dei sacerdoti del tempio è la parte centrale della cerimonia di insediamento sul trono imperiale. Questa cerimonia non è pubblica e gli oggetti, per tradizione, sono visti solo dall'imperatore e da determinati sacerdoti. Per questo non ne esistono fotografie o disegni conosciuti.

Secondo la leggenda, questi oggetti furono portati da Ninigi-no-Mikoto, il leggendario antenato degli imperatori giapponesi, quando la nonna, la dea del sole Amaterasu, lo inviò per pacificare il Giappone. Successivamente divennero il simbolo della divinità dell'imperatore, considerato il discendente di Amaterasu e come tale legittimato ad essere il supremo governatore del Giappone.

Secondo la leggenda, quando Amaterasu si nascose dal fratello Susanoo entrando in una caverna, gettando così il mondo nell'oscurità, la dea Ama-no-Uzume appese fuori dalla caverna la gemma e lo specchio per attirarla all'esterno. Avvicinatasi Amaterasu vide la sua immagine riflessa nello specchio e ne rimase così stupita che gli altri dei poterono portarla fuori dalla caverna. In seguito Susanoo si scusò con Amaterasu regalandole la spada Kusanagi, che aveva estratto del corpo del drago a otto teste Orochi.

Durante il Periodo delle dinastie del Nord e del Sud (Nanboku-chō, dal 1336 al 1392) il possesso delle insegne regali da parte della dinastia del sud ha indotto i cronisti moderni a considerarla come la dinastia legittima per quanto riguarda la successione imperiale.


Info da wikipedia
 
Top
view post Posted on 21/12/2011, 00:14
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Il Tempio T'ongdosa

jpg


Nella Corea del Sud vi sono letteralmente migliaia di templi buddisti, ma il tempio di Tongdo-sa (통도사 通度寺) di Yangsan, annidato nelle colline fra le città di Ulsan e Pusan, si è sempre distinto dagli altri.
Il primo dei templi dei “Tre Gioielli” è considerato la sede spirituale del Buddismo coreano ed è fra i templi più grandi e più antichi. Nel 1999 il tempio Tongdo-sa è diventato la sede di uno dei più importanti musei buddisti del mondo.
Il museo è sorto per volontà dell'attuale direttore, il venerabile monaco Bom Ha. “Il motivo della creazione di un museo” – dice il ven. Bom Ha – “è il fatto che ciascun tempio possiede innumerevoli reliquie, ma ha poco spazio per conservarle e inoltre esistono serie preoccupazioni per i furti.”
Quando fu fondato nel 1954, il museo Tongdo-sa era un minuscolo museo all'aperto e raccoglieva solo alcune reliquie del tempio stesso. In seguito, grazie a generose donazioni e a un sostanziale contributo da parte del governo, si trasformò e si espanse fino a raggiungere le dimensioni attuali di 16.500 metri quadrati. L'insieme del museo comprende anche una rivendita di libri, negozi di souvenir, depositi, una stanza dei documenti, uffici di coordinazione e un centro culturale.
Uno staff di 700 volontari si occupa della gestione del museo. La tradizione buddista coreana è mantenuta tramite lezioni regolari aperte al pubblico e grazie alle attività del Centro di ricerche sulle proprietà culturali buddiste che si focalizza sulla documentazione e sulla conservazione dei dipinti dei templi buddisti.

aa111


Il museo comprende ora 30.000 artefatti che rappresentano circa 1.500 anni di storia, dalle delicate sculture dei regni di Koryŏ e Silla ai lavori degli artisti contemporanei. I lavori sono presentati in cinque grandi sale d'esposizione, ciascuna con un tema separato. La maggior parte dei visitatori inizia con la Sala storica, che ospita la maggior parte dei tesori designati dal governo, fra cui una copia del Lotus Sutra, originariamente scritto in oro, tavolette votive, campanelle, tamburi, e posate in ottone.
La Sala degli artefatti donati raccoglie pezzi più recenti, ceramiche dell'epoca Chosŏn, sculture popolari e sciamaniche e pitture di autori moderni.

aa112


Secondo il direttore del museo, la Sala delle pitture buddiste è la più bella delle sale del museo. I depliant informativi dicono che Tongdo-sa ospita la più grande collezione di dipinti buddisti del mondo, ed effettivamente, dopo aver visto gli oltre 600 dipinti in mostra, i visitatori potranno essere d'accordo su questo punto.
Alcuni dei dipinti di maggiori dimensioni sono densamente popolati da divinità e demoni, pagode, montagne, elefanti, e si possono passare delle ore a osservarne i particolari. Tutti i pezzi minori vengono superati nelle dimensioni dai ritratti giganti del Budda chiamati “Tangka”. Sono così grandi che possono essere esposti solo uno alla volta.
Questi dipinti del periodo Chosŏn erano un tempo usati per le più importanti cerimonie all'esterno. Anche se nella creazione del Tangka erano impegnati da 10 a 20 monaci contemporaneamente per la stesura delle immagini, ognuno di questi dipinti richiedeva più di un anno per essere completato.
Tongdo-sa possiede circa 80 Tangka, alcuni dei quali ottenuti in prestito da altri templi. Quello esposto viene cambiato, con molta pompa, ogni aprile e ottobre.
Un'altra collezione notevole del museo di Tongdo-sa è quella dei “sarira”. I sarira sono piccole pietre preziose, o gemme, che vengono lasciate dalla cremazione di un monaco particolarmente devoto o santo. I buddisti credono che queste pietre si formino quando un monaco è un devoto di eccezionale purezza o quando ha sofferto moltissimo, un po' come le perle che si formano in un'ostrica. I sarira vengono spesso posti all'interno di stupa o dentro gli altari dei templi buddisti.

aa113


T’ongdosa (Tongdosa 통도사 通度寺), a Yangsan nella regione Kyŏngsangnam-do, è uno dei più importanti templi buddisti della Corea. È famoso per non avere una statua del Budda nella sala principale. Il motivo di questa mancanza è dato dal fatto che a T'ongdosa sono conservate le vere reliquie di Sakyamuni, il Budda storico, e per questo il tempio non ha bisogno di una statua del Budda. Certo è che la bellezza del paesaggio e l'atmosfera serena del tempio danno al visitatore l'impressione che qui il Budda continui a vivere.

Si dice che molti anni fa nella sala principale del tempio si sia tenuta una messa buddista sul sutra Avatamsaka. Poi, nel cuor della notte, una luce cominciò a brillare da uno stupa che si trovava nel recinto del tempio e la luminosità era così intensa da essere paragonabile alla luce del giorno, tanto da allertare molti monaci che si erano riuniti nel tempio per officiare un servizio religioso. Dicono che, a partire da quel momento, lo stesso stupa abbia emesso un'intensa luminosità di tanto in tanto, prima che un evento importante o un grave disastro colpissero il paese, e che la luce sia stata così forte da essere vista da lontano.
Questa storia miracolosa è una leggenda trasmessa fino a noi a proposito del tempio T'ongdosa. T'ongdosa è uno dei cinque templi in cui vengono conservate le reliquie autentiche del Budda.
Il monaco Chajang yulsa (자장 율사 慈藏 律師) di Silla portò alcuni sarira del Budda dalla Cina Tang e li ripartì fra i cinque templi. Lo speciale mistero e la meraviglia associati a questo fatto sono molto evidenti a T'ongdosa.

aa114


T'ongdosa si trova posizionato sul pendio meridionale del monte Yŏngch'wi-san (영취산 靈鷲山), che è alto 1.050 metri s.l.m., non lontano dal fiume Naktong-gang (낙동강 落東江) e dal Mare Orientale. Il nome della montagna deriva da quello del monte Grdhrakuta nel Magadha orientale, uno dei quattro principali regni dell'India al tempo del Budda. Il monte Grdhrakuta, che i coreani chiamavano Yŏngch'wi-san, è famoso per essere stato il luogo in cui Sakyamuni, il Budda storico, pronunciò il Sutra del Loto. Si dice che su quella montagna, il cui nome significa “Picco dell'avvoltoio”, vivessero vari immortali e molti avvoltoi. Siccome in Corea il monte su cui si trova il tempio era ritenuto essere significativo come la sua controparte in India in termini di provvidenza del Budda, gli fu dato lo stesso nome.

A proposito del nome del tempio, T'ongdo-sa significa “Tempio del passaggio nell'illuminazione”. Siccome gli edifici del tempio, le sue pagode, le lanterne di pietra, il bell'ambiente naturale e i grandi maestri che vi hanno insegnato la legge buddista sono tutti considerati come dovuti alla provvidenza del Budda, T'ongdo-sa era ritenuto essere eccezionale come il monte Grdhrakuta in India, dove il Budda insegnò il canone.
Come suggerisce il nome, T'ongdo-sa ha una dignità particolare che è immediatamente evidente nel momento stesso in cui si entra nel tempio. Il primo portale, Ilchumun (일주문 一柱門), presenta l'insegna “Yŏngch'wisan T'ongdosa” la cui calligrafia è quella del principe reggente Hŭngsŏn Taewŏn'gun, padre del re Kojong (r. 1863-1907). La dignità della scritta è adatta alla maestà del monte Yŏngch'wi-san.
Dopo essere passati per il portale Ilchumun, si scorge alla destra il Museo Sŏngbo e poi, seguendo verso l'alto il cammino da quel punto, si arriva al portale Ch'ŏnwangmun (천왕문 天王門), che custodisce i quattro guardiani celesti che si dice puniscano i cattivi e premino i buoni. Con il potere dei quattro re celesti, il portale Ch'ŏnwangmun protegge il tempio dagli spiriti malvagi. Questo portale fu eretto allo scopo di rendere il tempio un luogo incontaminato, incoraggiando i visitatori a pensare due volte al proprio comportamento. Il portale è stato dichiarato Proprietà culturale tangibile numero 250 della regione Kyŏngsang-namdo.
Superando il portale Ch'ŏnwangmun e il padiglione Pŏmjonggak (범종각 梵鍾閣) che si trova accanto a esso e che contiene la campana il cui suono ha lo scopo di salvare tutte le anime, si arriva al portale chiamato Purimun (불이문 不二門). Il termine Puri significa “non due”. Vuol dire che la vita e la morte, i desideri terreni e l'illuminazione, il bene e il male, cioè tutti gli opposti non sono due, ma una cosa sola. Il portale Purimun viene anche chiamato Haet'almun (해탈문 解脫門) perché, passando attraverso questa porta ci si lascia dietro tutte le preoccupazioni terrene, si diventa Budda e si raggiunge la salvezza, chiamata appunto haet'al. Purimun è anche la porta che conduce alla parte centrale del tempio. Questo portale è unico nell'architettura dei templi buddisti coreani in quanto il suo tetto non è sostenuto da una trave maestra centrale, ma dalle figure di un elefante e di una tigre che, unendo le loro teste, sostengono il tetto.

aa115


Il portale Purimun conduce alla sala principale, Taeungjŏn (대웅전 大雄殿), che si trova al centro del tempio. Questa sala fu costruita alla metà del periodo Chosŏn (dinastia Yi) ed è anch'essa unica per la sua epoca, il che la rende molto importante per lo studio dell'architettura lignea dei templi buddisti coreani. È stata dichiarata Tesoro nazionale numero 290. La sala Taeungjŏn ha insegne con scritte diverse per ognuno dei quattro lati: “Taeungjŏn” sul lato Est, “Taebanggwangjŏn” (대방광전 大方廣殿) sul lato Ovest, “Kŭmganggyedan” (금강계단 金剛界壇) sul lato Sud e “Chŏngmyŏlbogung” (적멸보궁 寂滅寶宮) sul lato Nord. L’insegna frontale “Kŭmganggyedan” fu scritta dal principe Hŭngsŏn Taewŏngun, lo stesso che scrisse i caratteri del portale Ilchumun.
Come si è detto all'inizio, la sala principale è unica perché non contiene alcuna statua del Budda. Invece un sarira del Budda è venerato sulla piattaforma-altare del diamante, o Kŭmganggyedan, che si trova a Nord dell'edificio. Siccome non contiene statue del Budda, la sala Taeungjŏn viene usata solo per funzioni buddiste.
La sala ove si venera il sarira del Budda è chiamata Chŏngmyŏlbogung e il sarira stesso si trova sulla piattaforma-altare del diamante, come si è detto. L'altare (o piattaforma) è considerato il luogo più sacro del tempio in quanto conserva in sé lo spirito fondamentale con cui il tempio fu originariamente costruito.

Uno dei più antichi testi storici della Corea, il Samguk yusa (삼국유사 三國遺事), o “Memorabilia dei Tre Regni”, dice che la piattaforma fu costruita inizialmente alla metà del settimo secolo. Da allora però è stata riparata sette volte e oggi è molto diversa dall'originale. La piattaforma attuale, a giudicare dalla forma a campana dello stupa e dalla tecnica di scultura di ciascuna delle figure, dovrebbe risalire a dopo il 17º secolo. Anche se l'aspetto della piattaforma è cambiato, secondo le registrazioni scritte questa resta però la più antica piattaforma d'altare esistente.
Più grande e più bella di esempi simili che si trovano nei templi Kŭmsan-sa e Yongyŏn-sa, è considerata essere il più bell'esempio di piattaforma a scalini della Corea.
Accanto a Kŭmganggyedan si trova uno stagno con un ponte che lo attraversa, stagno che gioca un ruolo centrale nella leggenda della fondazione di T'ongdosa. Quando il monaco Chajang yulsa cominciò a costruire il tempio, nel sito da lui scelto vi era un grande stagno abitato da nove dragoni. Il monaco riempì di terra lo stagno uccidendo tutti i dragoni eccetto uno, che lasciò a proteggere il tempio. Questo è il motivo per cui quello stagno viene chiamato Kuryongji (구룡지 九龍池), o “Stagno dei nove dragoni”.

aa116


Non solo il tempio, ma il paesaggio attorno è così bello che certi punti sono ora noti come “le otto meraviglie panoramiche di T'ongdosa”. Queste comprendono il grosso tamburo e la campana del tempio, il bagliore del sole che tramonta sullo stagno, la cascata e le rocce dietro al tempio, e un pino che ha varie centinaia d'anni.
Il monaco capo del tempio è attualmente Hyŏnmun, sotto la cui guida il tempio si concentra sulla divulgazione degli insegnamenti del Budda mediante speciali funzioni religiose, quali la messa annuale sul sutra Avatamsaka e le cerimonie religiose che si tengono ogni mese nella notte della luna piena. Oltre a ciò, grazie a una grande messa estiva si dà ai credenti buddisti laici l'opportunità di sperimentare di prima mano la vita del tempio, per far crescere la loro familiarità con la cultura buddista e per aiutarli a incorporare questa cultura nella loro vita di ogni giorno.
L'insegnamento del Budda è evidente in ogni angolo di T'ongdosa. Tutte le cose cambiano e alla fine scompaiono col passare del tempo, ma nel fluire del tempo il tempio T'ongdosa continua a esistere, conservando e diffondendo i precetti del Budda.

Altre immagini sotto spoiler


Info qui: Corea.it e qui:Corea.it


 
Web Contacts  Top
view post Posted on 21/12/2011, 13:36
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Chaehwa, i fiori di seta

mini-10


L'arte coreana del chaehwa, ovvero dei fiori di seta fatti a mano, è l’essenza di una bellezza pura che comunica con la natura. L’artista-artigiana Hwang Su-ro ha trascorso mezzo secolo camminando con fiera determinazione lungo questa strada fiorita. Grazie alla sua perseveranza, ha cercato da sola di riportare in vita la cultura dei fiori della corte di Joseon, rendendo così possibile anche ad altri sperimentare le virtù e i colori naturali dei fiori di seta. La sua vita rappresenta l’espressione della forza genuina di questo mestiere tradizionale, che lo separa decisamente dalle decorazioni floreali del giorno d’oggi.
Una farfalla si posa su un fiore di seta. Un’ape viene attirata dal profumo e scende fra i petali fatti con la cera presa da un alveare. È strano vedere come queste creature interagiscano con le creazioni di Hwang, perché queste ultime non sono reali. Sono invece dei chaehwa coreani, cioè dei fiori formati da sete tinte in modo naturale e da cera d’api. Come suggerisce il comportamento di questi insetti, i materiali usati per creare i fiori di seta sono così ben prodotti, da imitare in pieno la natura. L’arte del chaehwa era uno dei principali elementi decorativi per gli eventi della corte reale e per quelli nazionali durante l’era Joseon. Per i banchetti si preparavano dei fiori di seta particolarmente ricercati per adornare i due lati del trono. Si dice che alla sinistra si ponessero dei fiori di pesco rosso scarlatto e alla destra fiori di pesco di colore rosso e bianco.

Anche se non esistono fotografie in cui si possano vedere come si presentavano i fiori originali fatti a mano, vi sono un paio di libri designati dall’UNESCO che contengono dettagliati testi e disegni di quelle opere d’arte. I protocolli reali della dinastia Joseon e gli annali della stessa dinastia forniscono descrizioni molto dettagliate dei fiori di seta, permettendo oggi agli artigiani di ricreare i fiori nello stile tradizionale. Ci fu un momento in cui questa magnifica cultura di corte dei fiori si trovava sull’orlo dell’estinzione, ma grazie agli sforzi di Hwang Su-ro è sopravvissuta e continua a essere insegnata ancora oggi. Con molto lavoro, la signora Hwang ha fondato l’«Istituto dei fiori di seta reali della Corea», dove lei e più di dieci studenti fanno ricerche sulla cultura chaehwa della corte e si sforzano di riportare in vita quell’arte.

mini-12


La magia dei colori
L’arte dei fiori di seta cattura l’essenza della luce naturale dei fiori. Per ricreare i colori originali della natura, si possono usare solo le migliori sete. Il punto più difficile di quest’arte è il procedimento della tintura, che richiede tutti ingredienti organici come fiori, alberi, erbe e insetti. Inoltre il processo di riportare in vita quest’arte si basa unicamente sulla letteratura storica e non è facile immaginare quali fossero i colori basandosi su foto in bianco e nero. Per ricreare i colori corretti, la signora Hwang dice che, a quello che trova scritto nei libri, aggiunge anche la propria immaginazione come artista. Utilizzando soltanto le risorse dell’ambiente, la seta viene tinta di scarlatto, blu, verde scuro, giallo oro e altre sfumature.
Il passo successivo è quello di dare delicatamente forma a ciascun petalo, stigma e stame. “Ho sentito dire che che si fanno fiori artificiali anche in Francia”, dice Hwang. “Però i loro fiori non vengono fatti a mano, ma prodotti in massa dalle macchine. Dei colori così profondi come i nostri si possono ottenere solo con fiori creati a mano. I fiori prodotti in fabbrica possono solo emettere luce verso l’esterno, ma mancano di profondità.” Si tratta di un procedimento intricato che richiede un’assoluta precisione. “Dall’inizio alla fine, il tocco del maestro viene richiesto quasi ovunque. Il fascino del chaehwa consiste nell’aggiunta di un tocco di mani esperte alla grazia della natura.” La signora Hwang dice che questo è il motivo per cui ogni fiore viene ad avere un aspetto personale e un’espressione distinta, in quanto ogni creazione riceve una sua vita separata.

mini-04


Ci sono anche fiori di cera
L’arte di Hwang non si limita ai fiori di seta, ma utilizza anche la cera per creare degli arrangiamenti molto realistici. La cera viene prodotta facendo prima bollire i resti estratti dagli alveari e facendoli poi raffreddare in acqua fredda. La Corea ha un ambiente molto adatto alla raccolta della cera, con le sue boscaglie fitte, le montagne e le stagioni distinte. In precedenza, della cera raffinata veniva raccolta dall’inizio della primavera (quando fioriscono i fiori selvatici) fino all’autunno (quando cadono i petali), e la raccolta della cera di qualità portò allo sviluppo di mestieri che la utilizzavano. Si dice che, durante il periodo Goryeo, la cera coreana fosse uno dei principali prodotti di esportazione verso la Cina, assieme alle porcellane celadon. L’arte dei fiori artificiali fu una delle prime arti che utilizzò la cera.
Dei fiori di ciliegio fatti di cera possono essere così simili alla realtà, che le api e le farfalle vanno a visitarli. Il profumo pulito e il colore dei fiori di cera erano anche considerati più rari di quelli naturali, portando quell’arte ad essere molto considerata da parte delle classi nobili e dei membri della corte Joseon. La creazione dei fiori di cera richiedeva una quantità di lavoro e molta abilità: mani lente creavano petali smussati, mentre troppo calore poteva bruciare il materiale delicato.

mini-03


Un vita con i fiori
La signora Hwang dice che, quando crea i suoi fiori artificiali di seta, tutte le distrazioni svaniscono, portando ad un’esperienza che i coreani chiamano hwadosammae (“essere assorbiti nella via dei fiori”). Hwang, con la sua determinazione e ambizione, è stata maestra di quest’arte più a lungo di chiunque altro. Vedendo questa donna così elegante nel suo abito tradizionale di seta, è difficile immaginare che si sottoponga a procedimenti snervanti per creare le sue opere d’arte. La ricostruzione di una decorazione hwajun, ottenuta mettendo dei fiori in un vaso che un tempo era posto ai lati del trono Joseon, ha richiesto un intero anno per essere completata con l’aiuto di più di dieci persone. Questo perché quest’arte richiede una serie di procedure complicate, come la scelta della seta, la tintura della stessa, il tagliarla nella forma dei petali, la stiratura e l’aggiunta di piccole decorazioni. Hwang dice che si preoccupa sempre che qualcuno possa vedere le sue mani, perché queste sono spesso bruciate da un ferro da stiro e sempre macchiate dal procedimento di tintura della seta.
“Quando ero giovane, fui allevata dalla famiglia di mia madre, che erano discendenti della famiglia reale di Joseon. Mio nonno teneva sempre dei fiori vicino a sé, e così la mia sensibilità per i fiori divenne eccezionale, anche se ero una ragazzina. Più di tutto, fui influenzata dai rituali tradizionali che vidi. Ho imparato spontaneamente dai miei vecchi l’arte di usare tinture naturali per i fiori di seta”, dice. “In seguito, quando fui in Giappone, sentii dire che in Corea non esisteva alcuna cultura di decorazione floreale e che questa aveva avuto origine in Giappone. In quel periodo pensai che questo era il mio destino. Credo che sia stato allora che cominciò il mio percorso di vita con i fiori.”

mini-01


Se non fosse stato per Hwang, l’arte regale della creazione dei fiori di seta non esisterebbe più oggi, il che fa della signora Hwang un bene prezioso per la Corea. L’arte dei fiori di seta e il suo stile sono impregnati di natura, pieni di fascino con i loro delicati colori. Per far conoscere al mondo la cultura floreale degli antichi regni della Corea, la signora Hwang ha tenuto un gran numero di mostre in vari luoghi nel mondo. In particolare, la mostra speciale che si è tenuta a Busan in occasione dell’incontro al vertice dell’APEC nel 2005 è stata ammirata dalle mogli dei capi di stato presenti alla riunione. Nel 2007 Hwang ha stupito tutti con una mostra dei suoi lavori nella sede delle Nazioni Unite. Per lei quella mostra è stata la più memorabile. “Gli organizzatori pensavano che io avrei messo della terra nel vaso in modo da fare un fondo per fissarvi i fiori. In effetti si trattava di riso, non di terra. Inserendo nel vaso una gran quantità di riso, la tensione fra i grani avrebbe impedito ai fiori di cadere. Chiesi ai funzionari sul posto di preparare del riso e ricordo di avere avuto molte difficoltà per questo”, dice. “All’interno dell’edificio era proibito portare del riso, perché era classificato come cibo.” Comunque, con le sue mostre Hwang ha fatto conoscere al mondo questo tipo particolare di arte coreana.

02_02_02_img_03


L’unicità dell’arte di Hwang sta nel suo realismo. I fiori di seta imitano perfettamente la naturaL’intera vita di ricerche, studio e lavoro della signora Hwang è stata presentata in un libro che illustra il suo coinvolgimento nel mantenere una tradizione, dalla storia dettagliata del chaehwa alla descrizione del modo in cui si devono disporre i fiori. Dal titolo “I bei chaehwa della Corea”, il libro è in sé un’opera d’arte. Come per la creazione dei fiori, si è usata della seta tinta con colori naturali per farne la copertina e i fogli del libro hanno la legatura tipica dei libri tradizionali coreani. Nel libro la signora Hwang esprime il suo desiderio che questa forma d’arte, che un tempo dipendeva solo dagli sforzi dei singoli individui, possa sopravvivere come bene culturale. Il suo desiderio seguente è quello di aprire un museo moderno dei fiori per mettere in mostra la miriade di opere d’arte che ha prodotto nel mezzo secolo trascorso.

Anche se ha percorso un cammino incerto, studiando una tecnica di tintura senza alcuna guida, la forza della signora Hwang nel continuare è stata incredibile, a dir poco. Nelle parole del regista Andrei Tarkovsky, “Per ciò che essi chiamano passione, non è veramente l’energia dell’anima, ma puramente la frizione fra l’anima e il mondo esterno.” La filosofia di Hwang è una di quelle che resiste a lungo. “La gente tende a pensare in termini di bianco e nero quando si parla di oggi e della tradizione”, dice. “E invece l’oggi e la tradizione devono comunicare in armonia. Questo è il motivo per cui i due devono essere considerati come facenti parte dello stesso contesto.”
Anche se ha pensato per tutta la sua vita su come le tradizioni della Corea possano parlare in modo comprensibile al mondo contemporaneo, l’artista Hwang dice di aver trovato la strada giusta. Dalla forza della bellezza del chaehwa tradizionale, dunque, fioriranno nuovi fiori.

mini-11



Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
view post Posted on 21/12/2011, 14:27
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Hanok, le case tradizionali coreane

AAA1-3


Con il termine “hanok” vengono chiamate in coreano le case in stile tradizionale. Queste abitazioni, alcune delle quali veri capolavori di architettura, erano la forma di residenza più popolare fino alla fine degli anni 1970.
Come mai queste strutture, con il loro disegno e la loro forma semplice, durarono per secoli e diventarono parte integrante della vita dei coreani? Questo articolo è il risultato di un viaggio alla ricerca dei modi di vita e dei tipi di gente che ancora vive all’interno di quelle case, cercando di scoprire quel che i coreani, che oggi vivono in condomini all’occidentale nelle città, hanno dimenticato.

AAA5-1


Il museo del folclore Chunchu (che significa «Primavera e autunno») è una casa hanok costruita nel 1856, che si trova alla periferia dell’abitato di Okcheon, nella regione del Chungcheongbuk-do, un luogo che porta alla mente un passato ormai scomparso quasi ovunque nella Corea del Sud.
Di solito queste case tradizionali sono spesso rappresentate come strutture rimesse a nuovo, circondate da un cortile con aiuole che lo abbelliscono. Chunchu risulta subito essere in contrasto rispetto a questa visione idilliaca, perché non è per niente quel che ci si aspetta di vedere. L’ingresso di questa spaziosa casa tradizionale è infatti ingombro di statue in pietra, di ghiaia per la zona del parcheggio e di cianfrusaglie di tutti i tipi evidentemente raccattate qua e là e messe giù alla rinfusa, tanto per ricordare un passato che forse con questo edificio non ha nulla a che vedere.

AAA2-2


Ma chi arriva dalla città trova proprio che questo apparente disordine serva a conferire una certa bellezza al museo. All’interno della casa è stata ricavata una zona ristoro e una pensione a conduzione familiare. Chunchu non è altro che la più coraggiosa amalgama di vecchio e nuovo, di degno di rispetto e di banale che si possa vedere in Corea, ma anche il luogo perfetto per immergersi nelle tradizioni della Corea d’un tempo e per imparare quali erano alcune delle sue usanze più radicate, lontano dai luoghi di ritrovo cittadini e superficiali.

AAA4-2


Al nostro arrivo, i proprietari, Jeong Tae-hee e sua moglie Lee Hwa-soon, ci danno il benvenuto nella loro casa. La coppia ha gestito la casa negli ultimi dieci anni, cercando di mantenere uno stile di vita che permettesse di condividere le loro conoscenze con i turisti di passaggio. Anche se i visitatori possono scegliere quali aspetti della casa approfondire, un pasto preparato in casa, un «giro turistico» degli oggetti presenti in casa e nel cortile illustrati dalle spiegazioni di Jeong, o semplicemente una notte rilassante scaldata dall’ondol, Chunchu offre un’esperienza di immersione completa in un passato quasi ovunque scomparso.

Vecchie case fiere del loro alto lignaggio
La cultura confuciana della Corea è la forza motrice che ha mantenuto vive molte di questa vecchie case, mentre buona parte della Corea si sviluppava e si modernizzava attorno ad esse. Uno dei punti centrali dell’insegnamento confuciano è l’idea della pietà filiale. Onorare il proprio padre e la propria madre è un principio universale, ma in Corea questa pietà filiale si estende anche alle generazioni che sono da tempo scomparse. I riti ancestrali effettuati per le generazioni precedenti sono compito del figlio più anziano della famiglia, e la sua responsabilità viene passata di generazione in generazione, da primogenito a primogenito. La famiglia che segue questa linea di successione viene chiamata “famiglia capostipite” e molte delle case tradizionali che ancora esistono in Corea sono quelle di queste famiglie capostipite.

AAA3-2


Durante il periodo Joseon (1392- 1910) queste famiglie possedevano vasti terreni che venivano dati in affitto ai contadini, e questo guadagno serviva a mantenere le loro grandi case e ad assolvere alle responsabilità rituali di famiglie capostipite. Tuttavia, con le riforme avvenute alla metà del ventesimo secolo, queste famiglie capostipite persero i loro principali mezzi di guadagno e cominciarono a declinare. Alcuni abbandonarono le loro case ancestrali per andare a cercar fortuna in grandi città come Seul. Altri rimasero, ma sia le loro case, che le loro famiglie persero la grandiosità di un tempo. Non è stato che in un’epoca relativamente recente che il governo ha fatto uno sforzo mirato alla restaurazione di questi tesori, dando ai discendenti, sparsi ormai in tutto il paese, l’opportunità e un motivo per tornare a casa. Oggi essi danno il benvenuto ai visitatori, offrendo loro un assaggio di quello che significa vivere in una casa tradizionale, e molti di loro offrono programmi culturali che permettono agli ospiti di conoscere giochi, cibo e altri aspetti dello stile di vita tradizionale della Corea.

La struttura della casa
Entrando in una delle camere all’interno dell’edificio principale, il proprietario spiega il significato della struttura della casa, che si è mantenuta integra per oltre un secolo e mezzo. “È l’aspetto più importante della casa”, dice guardando in su verso la trave di sostegno di legno che si vede nel soffitto. “A differenza delle abitazioni moderne, qui le travi e le strutture in legno non sono nascoste, ma messe in bella evidenza.”
“Senza questo legname, una casa tradizionale non si può chiamare hanok”, dice. Le travi maestre costituiscono il legame centrale della casa e la loro importanza è fondamentale, tanto che un detto coreano si basa su di esse. Spesso un figlio che ha avuto un successo particolare viene citato come “la trave maestra” di una famiglia, a indicare la sua importanza nel tenere uniti tutti i membri del gruppo familiare.
“Ciò che rende le stanze di una casa coreana tradizionale diverse da quelle di una casa in stile occidentale è che, sia che si aprano o che si chiudano le porte, entrando o uscendo, la struttura sembra sempre aperta”, dice, facendo riferimento alla connettività fra le varie camere. “Nelle case coreane si pensa che si debba avere molto spazio vuoto, uno spazio attraverso il quale il vento possa passare liberamente.” Ciò è particolarmente importante durante l’umida stagione estiva, nella quale una brezza fresca è l’unico mezzo per trovare sollievo dal caldo soffocante.
I mobili sono formati da armadi e da mobiletti bassi con tanti cassetti, tipicamente in stile tradizionale. Durante i mesi freddi per riscaldare le stanze in queste case si usava l’ondol, un tipo di riscaldamento sotto il pavimento, che si adattava perfettamente allo stile di vita tradizionale coreano, che prevedeva che si dormisse e ci si sedesse direttamente sul pavimento delle camere, reso un poco più morbido da vari strati di carta incollata. Anche se oggi l’ondol è sopravvissuto nella cultura coreana moderna con l’impiego di tubi con acqua calda per riscaldare le camere nei condomini di stile occidentale, una serie di camere restaurate di Chunchu riceve ancora il calore proveniente da focolai in cui si brucia legna. L’aria calda viene fatta circolare sotto il pavimento e poi fatta uscire dalla parte opposta attraverso un camino.
Nel museo non mancano oggetti strani che attirano lo sguardo e che servono come punti focali di valore storico. Mentre Jeong ci guida con passo lento, di tanto in tanto si ferma per offrire una descrizione dettagliata di un oggetto o per spiegare il lavoro di un artigiano. Quest’uomo, piuttosto originale, ama raccontare e il cortile, che all’inizio per l’occhio non addestrato non era altro che un guazzabuglio di oggetti messi giù a casaccio, si trasforma pian piano, un racconto dopo l’altro, in un simpatico pezzo di storia della Corea.

AAA6-1


Uno stile di vita antico
Si dice che le prime case tradizionali hanok risalgano al periodo dei Tre Regni della storia coreana e, passando un po’ di tempo qui, sembra che lo stile di vita sia rimasto quasi immutato, come quello d’un tempo. Anche se l’avvento delle comodità dell’architettura di tipo occidentale l’ha messo un po’ in ombra, quello stile di vita riesce ancora a sopravvivere in queste case tipiche grazie a gente come Jeong e sua moglie.
La vita in una casa tradizionale può avere degli svantaggi, molte scomodità specialmente per un occidentale che non sia abituato a vivere, dormire e sedersi, direttamente sul pavimento, o a servirsi di un gabinetto che si trova nel cortile, fuori dalla casa. I primi tempi per noi italiani sono duri e le ossa fanno male, specie se il materassino che serve da letto è molto sottile e non si è più giovanissimi.
Ma Jeong sente che la natura di una casa di legno, argilla e pietra ripaga di gran lunga per tutte le apparenti scomodità. “È vero che il cemento fatto dall’uomo dura più a lungo, ma non è un qualcosa di organico”, dice. Una casa hanok invece fa parte della terra, in quanto è costruita usando alberi, pietre e acqua.
“Un ritorno alla natura è ciò di cui il nostro corpo ha bisogno man mano che si invecchia”, spiega. Anche se abbiamo viaggiato per tutto il mondo, sarà sempre prevalente in noi il desiderio di tornare alla nostra casa nella natura. Ed è proprio questo che l’abitazione tradizionale hanok rappresenta per i coreani.

Un fascino antico
L’Organizzazione per il turismo della Corea gestisce un sito web che fornisce informazioni su queste case tradizionali. Vi sono elencate 68 case nelle varie regioni, 39 delle quali si trovano nella regione Gyeongsangbuk-do, grazie al forte e continuo rispetto di questa regione per la cultura confuciana. Molte delle case offrono un pasto tradizionale per la colazione del mattino, e si possono fare esperienze culturali pratiche, come usare una macina tradizionale, apprendere la cerimonia coreana del tè, vestirsi con gli abiti tradizionali, creare oggetti di ceramica e vari giochi tradizionali. Vi sono anche case in cui i visitatori possono osservare l’esecuzione dal vivo di riti confuciani ancestrali, oltre a conoscere più a fondo il cibo, l’abbigliamento, l’architettura, le tradizioni e altri aspetti culturali che sono stati mantenuti diligentemente da queste famiglie capostipite. Alcune di queste case approfittano del fatto di trovarsi in un ambiente naturale indisturbato per offrire programmi di apprezzamento della natura, dando ai bambini la possibilità di vedere piante, animali e insetti, nei quali non si imbatterebbero mai nelle grandi città.

Ogni anno un numero sempre maggiore di coreani scoprono il fascino di queste case tradizionali. Per gli abitanti delle città moderne, uno dei più evidenti vantaggi di abitare in una casa tradizionale è la possibilità di fuggire dall’ambiente teso e soffocante della città e tornare in un tempo e in un luogo più strettamente collegati con la natura. Un sondaggio condotto dall’Istituto di ricerca sull’architettura e l’urbanizzazione ha interrogato nel 2008 un campione di 1.007 persone chiedendo loro di citare i motivi per cui avrebbero desiderato vivere in una casa tradizionale. Le prime tre risposte comprendevano “vicinanza con la natura” (35,5 per cento), “vantaggi per la salute” (27,0 per cento) e “tranquillità” (23,5 per cento). Un visitatore della casa di Yi Man-hyeon ad Andong, nel Gyeongsangbuk-do, ha detto: “La mia mente tormentata dalle preoccupazioni si schiarì e lo stress che si era accumulato nel giro di un anno sparirono senza lasciare traccia dopo aver passato una notte in questa vecchia e tranquilla casa”.

AAA7-1


Altri visitatori cercano qualcosa di più, come due donne trentenni che si sono fermate nella casa di Kwon Cheol-yeon a Chunyang, nel Gyeongsangbuk-do. Avevano lasciato l’azienda nella quale lavoravano e avevano intrapreso un viaggio per visitare i siti culturali e soggiornare nelle case tradizionali, nella speranza di ricollegarsi con qualcosa che era mancato nella loro vita. Vi è anche un gruppo di persone che hanno fondato un club per conoscere e sperimentare la cultura tradizionale coreana, e che passano il loro tempo libero visitando siti importanti dal punto di vista culturale e storico nel paese. Nel villaggio Gunja ad Andong, non hanno solo soggiornato in case tradizionali, ma hanno anche fatto in modo che la loro visita coincidesse con esecuzioni di musica e danza coreana tradizionale.

AAA8


Molte le famiglie con bambini piccoli
Ma la maggior parte dei visitatori sono famiglie, specialmente con bambini piccoli. Una coppia che ha portato i propri figli al villaggio di case tradizionali di Jeonju, nel Jeollabuk-do, ha apprezzato in modo particolare l’esperienza di apprendimento. “C’è così tanto da fare qui. Per una piccola somma, tutta la famiglia può fare i dolcini di riso o mischiati di riso e artemisia, e, se ci si prenota per tempo, si può apprendere il modo di comportarsi e conoscere i mestieri tradizionali. È stata un’esperienza valida che ha permesso ai nostri bambini di apprezzare la bellezza e l’importanza della tradizione coreana, e di vedere con i propri occhi cose che avevano visto solo nelle figure dei loro libri di testo.” Un’altra coppia che aveva soggiornato nella casa di Yun Jeung, a Nonsan, nel Chungcheongnam-do, ha provato una gioia speciale nel vedere la reazione del proprio figlio di fronte a quest’esperienza. “I soffioni e i fiori selvatici di cui non conoscevamo il nome, il bel giardino fiorito che si vedeva dalla nostra camera, la forma geometrica della struttura della porta di carta, e nostro figlio che guardava tutte queste cose con una grande meraviglia negli occhi... Per cui è stato un tempo prezioso, un passo verso un mondo di bellezza.”

Quel che rende così speciali queste case tradizionali è, naturalmente, il fatto che non sono semplicemente da mettere in mostra. Sono dei musei viventi, case per i discendenti delle persone che le hanno costruite. Questi discendenti portano avanti le tradizioni delle loro famiglie e sono più che felici di condividere le loro esperienze con i visitatori in conversazione davanti a una tazza di tè. In una sera di un’estate precoce, mentre le gocce cadevano dalle grondaie coperte di tegole, Kwon ci raccontò la sua storia. Lui è il nipote di Kwon Cheol-yeon, l’uomo che costruì la casa che ancora porta il suo nome. Dopo la riforma terriera, le fortune della famiglia declinarono rapidamente e Kwon, allora un ragazzo, si spostò a Seul. I riti ancestrali venivano ancora celebrati, ma la casa ancestrale fu alla fine abbandonata, tanto che restò vuota per 16 anni.

AAA10


Valori confuciani e aiuti da parte del governo
Poi il governo gli fece un’offerta: l’avrebbero aiutato a restaurare la casa se fosse tornato a viverci e se l’avesse aperta ai visitatori che avessero voluto sperimentare come si vive in una casa tradizionale. Egli accettò l’offerta e negli ultimi tre anni ha accolto i visitatori. Nel primo anno ha avuto circa 50 visitatori, ma nel secondo anno il numero balzò a 200. Questo (2009) è il terzo anno e Kwon si aspetta che il numero dei visitatori continui a salire. Si è spesso chiesto perché i coreani siano oggi così attratti da queste case tradizionali. Una gran parte, egli crede, è che si rendono conto che molti dei valori tradizionali della società coreana, come il concetto confuciano della pietà filiale, stanno svanendo a causa della odierna frenesia della società industrializzata. “I genitori hanno improvvisamente sentito urgente la necessità di enfatizzare questa cultura della pietà filiale nell’educazione dei loro figli”, dice, “e questa cultura è fondamentalmente collegata allo spirito confuciano. Poi il governo ha cominciato, nei mezzi di comunicazione di massa, a parlare favorevolmente della cultura delle case tradizionali della Corea, e tutto questo ha portato all’attuale recente aumento di popolarità.”
Lee, proprietario della casa di Yi Man-hyeon, condivide il rispetto di Kwon per i valori confuciani tradizionali. La casa è situata entro i limiti della città di Andong, che è già una destinazione popolare per chi desidera sperimentare la cultura tradizionale, e questo è servito ad attirare ogni anno molti visitatori. Sono passati solo tre anni da quando il governo l’ha aiutato a restaurare la casa, ma ha già raggiunto un livello di circa 5.000 ospiti all’anno. Per spiegare la popolarità della propria casa, e delle case tradizionali in genere, elenca cinque motivi: un maggiore apprezzamento della cultura come opposta al puro divertimento, il desiderio dei genitori di insegnare ai loro figli cose che essi non possono imparare in città, il maggior tempo libero dovuto al sistema di cinque giorni lavorativi alla settimana, la diversità delle case tradizionali fra loro (“Non ve ne sono due che siano esattamente uguali”, dice), e l’interesse nella cultura tradizionale in generale, compresa la cultura confuciana che ha aiutato a mantenere queste case vive attraverso le generazioni.

Ma egli sente che la popolarità attuale delle case tradizionali è solo la punta di un iceberg. “Oggigiorno i visitatori stanno appena grattando la superficie,” dice, “ma quando inizieranno a scavare un poco più a fondo, cominceranno a pensare alla vita delle persone che vivevano in queste case. e vorranno conoscerne la cultura.” Quando ciò avverrà, Lee crede che vi sarà una crescita esplosiva nella popolarità delle case tradizionali, non come resti dei tempi andati, ma come aspetto vivente di una cultura tradizionale che ha molto da offrire alla Corea moderna.

Cercare il futuro nel passato
Lee mette l’accento sull’importanza dei valori confuciani nella società odierna, in particolare sul desiderio di realizzare un mondo in cui ognuno possa vivere in pace assieme agli altri e sulla volontà dell’individuo di anteporre agli interessi personali il benessere della società. “I futurologi credono che questo sia l’unico modo di portare la felicità a tutto il mondo nel ventunesimo e nel ventiduesimo secolo.” spiega. Da parte sua, Kwon mostra una tavoletta di legno appesa alla parete, su cui è inciso un semplice motto familiare: “La sincerità è la tradizione della nostra famiglia.” È molto orgoglioso del fatto che, quando i fittavoli soffrirono per una scarsità di cibo, suo bisnonno ordinò ai suoi familiari di prendere due soli pasti al giorno, in modo da poter aprire i magazzini e nutrire i contadini affamati.
Anche se può sembrare una tautologia, la situazione attuale della Corea è stata a lungo combattuta fra il suo passato e il futuro. La storia moderna della Corea è stata particolarmente penosa: 35 anni di dominio coloniale da parte del Giappone, che ha cercato di cancellare l’identità della Corea e di incorporarla nell’Impero giapponese, un’amara guerra Nord-Sud che ha devastato la penisola dopo il dominio giapponese, e oltre 50 anni di vita come popolazione divisa dall’ideologia. Eppure, nonostante che il paese fosse afflitto dalla povertà dopo la Guerra di Corea, la Corea del Sud è riuscita a risollevarsi e a diventare la tredicesima potenza economica a livello mondiale. Questo periodo di rapida crescita economica è stato così impressionante da essere definito “Miracolo del fiume Han”.
Ma procedere in avanti a questa velocità inesorabile comporta anche un pericolo, quello di perdere il contatto con il proprio passato. Quando il proprio passato contiene tante memorie penose come quello della Corea, non sembra essere una cosa cattiva dimenticarsene. Ma vi sono molte cose del passato che dovrebbero essere mantenute, e molte che possono essere usate per costruire una strada verso il futuro. I governi locali della Corea hanno riconosciuto questo principio e hanno investito fondi nelle case tradizionali e nella loro inerente cultura.
Anche se i visitatori possono non filosofeggiare sui motivi che portano a risiedere in queste abitazioni tradizionali, il fatto che così tanti degli ospiti siano famiglie con bambini piccoli dice qualcosa sui loro motivi, cioè che essi sentono che vi è qui qualcosa di valido che deve essere trasmesso alla generazione seguente. Pur se non ne parlano, molti si rendono conto che la ricerca della modernità deve essere temperata con la comprensione e il rispetto della tradizione. Nel passato vi è molto che deve essere superato, ma vi è anche molto di cui si deve far tesoro, come i valori umani che persone come Lee e Kwon tengono sinceramente in gran conto. Le abitazioni tradizionali coreane, che essi chiamano “casa”, sono l’aspetto tangibile di questa preziosa tradizione.

AAA9



Altre immagini sotto spoiler


Info qui: Corea.it e qui:Corea.it
 
Web Contacts  Top
view post Posted on 21/12/2011, 15:03
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Il tempio Pŏpchusa

aaa1-4


Il tempio Pŏpchusa (법주사 法住寺), s ituato sul monte Songnisan (속리산 俗離山) nella regione Ch'ungch'ŏng-pukto, fu fondato nel 553, 24 anni dopo che il buddismo fu introdotto nel regno di Silla (57 a.C. - 935 d.C.).
Nell'anno 720, durante il regno del re Sŏngdŏk (성덕 聖德), Pŏpchusa subì un importante rifacimento, di cui sono testimonianza la maggior parte dei monumenti di pietra giunti fino a noi. Da allora in poi, il tempio ha subìto molti rinnovamenti e riparazioni. La maggior parte delle attuali strutture in legno furono costruite nell'ultima parte del periodo Chosŏn (1392-1910).
Gli antichi testi Tongguk yŏji sŭngnam (동국여지승람 東國輿地勝覽) e Chosŏn pulgyo t'ongsa (조선불교통사 朝鮮佛敎通史) contengono la storia che segue circa la fondazione del tempio Pŏpchusa.

aaa2-3


Nel 553, 14º anno di regno del re Chinhŭng (진흥 眞興) di Silla, un monaco buddista chiamato Ŭisin (의신 義信), dopo aver studiato in India, tornò in patria con un carico di scritture buddiste trasportate da un mulo bianco. Non appena tornato, però, il monaco si mise di nuovo in marcia alla ricerca di un luogo adatto per costruire un tempio dove egli intendeva istruire dei giovani studiosi. Un giorno, quando Ŭisin e il suo mulo raggiunsero il luogo dove ora si trova il tempio Pŏpchusa, il mulo si fermò all'improvviso e cominciò a ragliare.
Con una strana sensazione, il monaco si guardò attorno ammirando il bel paesaggio del monte Songnisan. Rendendosi conto che questo era il posto perfetto per un tempio, vi costruì Pŏpchusa. Il nome significa “tempio dove si sono fermate le scritture buddiste”.

A Pŏpchusa si trova un certo numero di proprietà culturali nazionali, fra cui la pagoda P'alsangjŏn (팔상전 捌相殿), tesoro nazionale numero 55, la lanterna in pietra con una coppia di leoni Ssangsa sŏktŭng (쌍사석등 雙獅石燈), tesoro nazionale numero 5, il bacino per l'acqua Sŏngnyŏnji (석련지 石蓮지), tesoro nazionale numero 64, la lanterna di pietra Sach'ŏnwang sŏktŭng (사천왕석등 四天王石燈), tesoro numero 15, e la figura del Budda Maae yŏraeŭisang (마애여래의상 磨崖如來倚像), tesoro numero 216.

aaa4-3


Vi sono anche proprietà culturali locali come la sala Wŏnt'ong pojŏn, la pagoda Sejon sarit'ap, il portale Sach'ŏnwangmun, la statua Huigyŏn posalsang, il tempietto Pokch'ŏnam e la statua Suam hwasang.
La pagoda P'alsangjŏn, una pagoda di legno a cinque piani, è una preziosa proprietà culturale dal momento che è l'unica pagoda in legno esistente in Corea da quando la pagoda in legno a tre piani del tempio Ssangyongsa fu distrutta da un incendio nel 1984.
Costruita quando Ŭisin stabilì il tempio durante il regno del re Chinhŭng, fu riparata nel 776. Incendiata durante l'invasione giapponese del 1597, fu restaurata nel 1605. Alta 22,7 metri, questa è la pagoda più alta della Corea.

aaa5-2


Ssangsa sŏktŭng, una delle più belle lanterne di pietra pervenuteci dal regno di Silla, si pensa che sia stata creata nel 720, 19º anno di regno del re Sŏngdŏk. L'uso dei leoni si trova di frequente nell'arte buddista proveniente dal periodo dei Tre Regni (57 a.C. - 668 d.C.). Tuttavia la scultura dei leoni della lanterna Ssangsa sŏktŭng è di gran lunga il più notevole esempio di resti in pietra con motivi di leoni. La lanterna è unica in quanto, in questo caso, la lucerna è sorretta da due leoni invece che da una colonna come si trova di solito nelle altre lanterne di pietra. Inoltre la lucerna e la pietra sovrastante che le fa da tetto sono più grandi di quelle delle altre.
D'altronde, l'altra lanterna in pietra, la Sach'ŏnwang sŏktŭng, segue il tipico stile ottagonale delle lanterne in pietra del periodo Silla. Date le tecniche di scultura impiegate, si ritiene che questa lanterna sia stata creata quando il tempio Pŏpchusa venne riparato durante il regno del re Hyegong (혜공 惠恭 r. 765-780).
Costruito nell'ottavo secolo durante il periodo di Silla Unificato, il bacino a forma di loto Sŏngnyŏnji è un capolavoro artistico. Un sostegno a tre piani su un piedestallo ottagonale sostiene il bacino che è scolpito a immagine di un bocciolo di loto mezzo aperto. Il piedestallo che costituisce il gambo del fior di loto è inciso con disegni a forma di nuvole per dare l'impressione che il bacino sia un fiore di loto che galleggia sulle nuvole.

aaa6-2


Sull'orlo del bacino sono scolpiti piccoli fiori di loto e nel mezzo ve ne sono di più grandi. Lo stile architetturale complessivo è unico, ma la forma del corto pilastro che costituisce il piedestallo è simile a quello dei pilastri della balaustra della pagoda Tabot'ap (다보탑 多寶塔) del tempio Pulguksa (불국사 佛國寺). Questo bacino per l'acqua a immagine di un bocciolo di loto è uno dei resti storici rappresentativi della Corea.
La figura chiamata Maae yŏraesang è un'immagine del Budda seduto alta 6 metri incisa su una roccia. La scultura è rara in quanto il Budda, che è Maitreya il Budda del futuro, è seduto su una sedia. Assieme a Ksitigarbha, il Bodhisattva degli inferi inciso sulla roccia adiacente, questa scultura dimostra la natura del tempio Pŏpchusa.

aaa7-2


Il volto tondeggiante del Budda, il sorriso gentile, il naso lungo e grande, le sopracciglia rotonde, le evidenti palpebre superiori, le spesse labbra strettamente chiuse, le lunghe orecchie e le tre pieghe orizzontali sul collo sono tutte caratteristiche delle immagini del Budda scolpite sulla roccia nei primi tempi del regno di Koryŏ (918-1392).
Il Budda ha un giro vita stretto in modo inusuale, se confrontato con le ampie spalle, e il vestito scende dalla spalla sinistra sul petto e fra le gambe, formando morbide curve.

aaa9-1


Pŏpchusa è costituito da 30 edifici, fra cui 8 padiglioni, 5 grandi sale di preghiera e 3 monasteri. Il santuario principale, Taeung pojŏn, tesoro numero 915, è uno dei tre più grandi santuari buddisti della Corea. La sala di preghiera contiene le immagini di tre Budda. L'idea di una triade di Budda ha origine dal buddismo Mahayana e si riferisce ai tre corpi di Sakyamuni, il Budda storico: il corpo del Budda dopo aver praticato l'ascetismo, il corpo di Sakyamuni rinato nelle scritture buddiste dopo essere entrato nel nirvana, e il corpo di Sakyamuni quale è rivelato in varie apparizioni per la salvezza dell'umanità.
Oggi il tempio Pŏpchusa sta cercando di attirare un maggior numero di visitatori ospitando vari festival culturali. Questi comprendono Il Festival Songnisan, che si tiene nel quarto mese lunare, e il Festival degli aceri di Songnisan per il canto e la danza, che si tiene in ottobre.

aaa8-1



Altre immagini sotto spoiler


Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
Kimu
view post Posted on 21/12/2011, 18:10




Cha no yu



Cha-no-yu



La cerimonia giapponese del tè



Il Giappone conosce il tè intorno all’800 d.c., grazie all’opera dei viaggiatori del Sol Levante in Cina per apprenderne la cultura, nello specifico le dottrine che animavano il paese in quegli anni. In particolare è da ricordare la figura di Saichō, padre della scuola Tendai che portò le prime sementi di tè nel proprio paese. Il tè però rimarrà per circa 4 secoli relegato all’uso dei monaci nei templi, che ne bevevano per corroborare il corpo e lo spirito per rimanere più svegli durante le ore di veglia notturna. Si dovrà aspettare l’opera del monaco tendai Eisai perchè il tè si diffondi per tutto il Giappone; di ritorno da uno dei suoi viaggi dalla Cina, portò nuove sementi della pianta del tè, ed al tempo stesso nuove conoscenze nell’ambito della dottrina Zen; da questi si porranno le basi da un lato per la diffusione della bevanda nel paese (passando dapprima per gli ambienti aristocratici e per poi arrivare al resto della popolazione) e dall’altro pone le prime basi per lo sviluppo del Cha no yu.
Sviluppo che richiederà secoli per essere decodificato così come è conosciuto oggi, attraverso l’opera dei Maestri del tè che ne definiranno i connotati, grazie anche al fatto che con la loro dottrina riusciranno ad influenzare anche le sfere di potere nel paese, permettendo quindi una diffusione di quest’arte. Dopo la morte di Eisai, ci sarà una sorta di “stallo” di questa evoluzione, con la cerimonia che rimarrà relegata agli ambienti aristocratici e che assumerà connotati sfarsozi in contrasto con i dettami Zen impartiti da Eisai; questa cerimonia diverrà poi nota col nome di tōcha.
Occorrerà aspettare il monaco Zen Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502) che, sotto la guida del maestro Ikkyū Sōjun (一休宗純, 1394-1481) introdurrà il concetto del Wabi-cha, che diverrà la base per tutto lo sviluppo futuro della cerimonia. Il wabi-cha vuole richiamare il concetto di sobrietà e semplicità del rito, idee proprie della dottrina Zen; al tempo stesso mantiene un comportamento “flessibile”, permettendo di svolgere la cerimonia attraverso stili e forme diverse.
Nello specifico, Murata elabora la cerimonia del Chado, che si basa sul principio di “leggere il Dharma del Buddha anche nella bevanda del tè”, in relazione con i concetti del wabi-cha. Murata introdurrà aspetti rituali basilari per la cerimonia: l’uso di oggetti per la preparazione del tè semplici e di cultura contadina, l’introduzione del chashaku (茶杓) in bambù (il chashaku è il sottile cucchiaio in bambù usato per mettere il matcha, il tè usato per il cha no yu, dal suo contenitore alla tazza), la definizione delle misure della stanza da tè pari a quattro stuoie (tatami) e mezzo. Il legame con la dottrina Zen è evidente in tutti gli aspetti introdotti da Murata. Si pensi solo alle misure della stanza; sono determinate in base ad un passo del sutra di Vikramaditya, dove in un passo si dice che accolga il santo Manju insieme ad 84.000 discepoli del Buddha in una stanza di queste dimensioni, richiamando l’immagine della non esistenza dello spazio per i veri illuminati.

murata Murata Shukō




Nello specifico, Murata elabora la cerimonia del Chado, che si basa sul principio di “leggere il Dharma del Buddha anche nella bevanda del tè”, in relazione con i concetti del wabi-cha. Murata introdurrà aspetti rituali basilari per la cerimonia: l’uso di oggetti per la preparazione del tè semplici e di cultura contadina, l’introduzione del chashaku (茶杓) in bambù (il chashaku è il sottile cucchiaio in bambù usato per mettere il matcha, il tè usato per il cha no yu, dal suo contenitore alla tazza), la definizione delle misure della stanza da tè pari a quattro stuoie (tatami) e mezzo. Il legame con la dottrina Zen è evidente in tutti gli aspetti introdotti da Murata. Si pensi solo alle misure della stanza; sono determinate in base ad un passo del sutra di Vikramaditya, dove in un passo si dice che accolga il santo Manju insieme ad 84.000 discepoli del Buddha in una stanza di queste dimensioni, richiamando l’immagine della non esistenza dello spazio per i veri illuminati.
L’epoca di Murata è importante nell’ambito del Cha no yu anche grazie alla presenza dell’ottavo shōgun del clan Ashikaga, Yoshimasa (足利義政, 1435-1490) che, dopo essersi ritirato dall’incarico di governo, si trasferì in una villa-tempio fatta da lui costruire nel 1473 a nord-est di Kyōto, residenza denominata Jishō-ji (慈照寺) e conosciuta anche come Ginkaku-ji (銀閣寺, “Padiglione d’argento”). Yoshimasa trascorse in questa villa il resto dei suoi giorni, promuovendo incontri di poesia e di arti tradizionali. Venuto a conoscenza del Cha no yu elaborato da Murata Shukō, lo invitò a mostrargli le “nuove” regole cerimoniali. Affascinato dalla “nuova” arte tradizionale zen, Yoshimasa divenne subito un attivo promotore della Cerimonia del tè. Per questa ragione, il Ginkaku-ji è considerato, tradizionalmente, il luogo di nascita del Cha no yu.

Ginkaku-ji Il tempio Zen Ginkaku-ji, detto anche "Tempio dal padiglione d'argento"



Per alcuni decenni, in particolare a causa delle guerre che dilaniavano il paese in quell’epoca, lo sviluppo del cha no yu rimase fermo fino all’avvento di un altro monaco Zen, Takeno Jōō (武野紹鴎; 1502-1555). Takeno, che per molti anni si interessò alla scrittura ed in particolare al Renga (tipo di composizione poetica giapponese) amplia i concetti di base del wabi-cha, legandolo anche ad aspetti della poesia waka (和歌) ed alla dottrina della Via dell’Incenso (香道, Kōdō). Modifica la cerimonia eliminando il mizuya (lo scaffale per gli utensili) e disponendo gli utensili direttamente sul tatami, imponendo solo l’uso di legno grezzo per il tokonoma, aprendo all’usanza di porre il ro (il focolare sopra il quale si scaldava il bollitore per l’acqua) direttamente nella stanza della cerimonia, ereditata direttamente dalle usanze contadine.
Ma fu il terzo grande Maestro del tè a permettere lo sviluppo più importante del cha no yu: il monaco Zen Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591). Rikyū iniziò lo studio del cha no yu all’età di 17 anni, ed all’età di 19 divenne discepolo proprio di Takeno Jōō, per 15 anni. Sotto Rikyū il concetto del wabi-cha raggiunge la sua massima espressione; la sua stessa vita e gesta richiamano in ogni momento i concetti della cultura Zen e del Teismo. L’importanza di Rikyū non è solo legata alle evoluzioni “pratiche” della cerimonia, ma anche a come ogni singolo aspetto venga messo in relazione con la vita stessa; questo, unito all’amicizia (ed al ruolo di funzionario) che svilupperà prima con lo shōgun Oda Nobunaga e poi con lo shōgun Toyotomi Hideyoshi, permetteranno di diffondere la cerimonia sia nell’ambiente dei samurai e poi alla corte imperiale, e pariteticamente anche al resto della popolazione. Particolarmente significativi furono i ricevimenti che tenne alla corte imperiale, in particolare quello da lui promosso nel 1585, dove per la prima volta venne presentata la cerimonia proprio davanti all’imperatore Ōgimachi, che conferirà a Rikyū il nome onorifico buddhista Rikyū Koji. Particolarmente importante fu il ricevimento del 1587; ideato insieme all’aiuto di Toyotomi Hideyoshi presso il Kitano Tenman-gū (北野天満宮, un tempio shintoista a Kamigyō-ku nei pressi di Kyōto), permise di invitare persone di diverse estrazioni sociali e culturali. Il grande ricevimento del 1587 fu uno degli ultimi episodi dell’amicizia tra lo shōgun Hideyoshi e il maestro del tè; gli eventi successivi portarono Rikyū ad inimicarsi Hideyoshi, cosa che porterà il Maestro del tè a compiere seppuku (il suicidio).

Sen-no-Rikyu-statua Statua raffigurante Sen no Rikyū



Sotto Rikyū arrivano a pieno concepimento molti degli aspetti che caratterizzano il Cha no yu anche oggi. L’uso di luci soffuse per la stanza opportunamente filtrando quella che proviene dall’esterno, l’uso di una porta alta non più di un metro per l’ingresso, il completo sviluppo nell’uso dei fiori da mettere nel tokonoma, l’utilizzo di una scritta al posto di un dipinto sempre nel tokonoma, il recupero di alcuni aspetti del wabi-cha che dopo la prima introduzione si erano persi… la stanza da tè diventa un qualcosa che si vuole armonizzare con le persone e gli oggetti presenti. Al suo interno, lo scopo è quello di reggiungere l’armonia tra ospiti e padrone, dove non esistono più differenze legati alla classe sociale; la cerimonia diventa un modo per raggiungere la tranquillità interiore, assumento connotati più spirituali.

Erede di Rikyū fu Furuta Oribe, e di seguito a lui Kobori Enshu, ma l’eredità di pensiero fu tramandata dal suo genero Shōan Sōjun (1546-1614) cui seguì il figlio Genpaku Sōtan (1578-1658). Questi rivalutò il legame della cerimonia col tempio Daitoku-ji. Alla sua morte, divise nel testamento i suoi beni immobili tra i suoi 3 figli (ne aveva un quarto, ma il primogenito morì). Da ognuno di loro il culto del Cha no yu si evolse in maniera differente, portando alla fondazione di 3 scuole distinte, e tutte e 3 sono quelle ancora in uso nella tradizione giapponese. Anche per questo motivo Rikyū viene spesso indicato come il vero fondatore della cerimonia del tè. I nomi delle tre scuole ancor oggi presenti sono: Omotesenke, Urasenke e Mushanokojisenke.

Toyotomi-Hideyoshi-1 Lo shōgun Toyotomi Hideyoshi



Taoismo e Zen

La cerimonia del tè giapponese è un rito prettamente Zen. Il Buddhismo Zen è una dottrina che deriva dal leggendario monaco buddhista Bodhidharma, che per primo pose le sue basi. Concettuamente deriva dal Buddhismo, ma a livello “filosofico” possiamo definirlo come un’evoluzione del Taoismo. Il Taoismo è una dottrina affermatasi in Cina, il cui fondatore è Lao-Tzu.

Lao-Tzu Rappresentazione di Lao-Tzu



Il termine Tao può essere tradotto in diversi modi; letteralmente significa “sentiero”, ma può essere tradotto anche come Via, Assoluto, Legge, Ragione, Natura, Metodo, riflettendo il fatto che gli stessi taoisti usano il termine in modo diverso a seconda del contesto. Esemplificando, il taoismo è la rappresentazione del “passaggio”, lo spirito del mutamento cosmico delle cose, l’eterno sviluppo che ritorna ogni volta su se stesso. Non a caso uno dei simboli prediletti del taoismo è un drago che si ritorce su se stesso. Il Tao quindi, più che rappresentare il “sentiero” delle cose, rappresenta la “transizione”. Dal punto di vista del soggetto, è il modo di essere dell’Universo. Ne consegue che il punto di vista del taoista è da una parte assolutamente individualista, dall’altro implica che i suoi valori assoluti sono relativi.
Questo porta a definire che non esiste un “giusto” od uno “sbagliato” nelle cose; tutto è relativo e niente può essere definito in maniera assoluta, al di sopra di chiunque; il definire vuol dire “limitare”, ed il limitare porta all’immutabilità delle cose che implica un arresto dello sviluppo. Ma il maggior contributo dato dal Taoismo nella cultura asiatica è quello della ricerca delle bellezza. Una delle particolarità di questa dottrina è quella di occuparsi del presente, non di guardare con nostalgia al passato o di cercare di comprendere il futuro. Gli storici cinesi indicano il Taoismo come “l’arte di stare al mondo”. Citando le parole di Kakuzo Okakura: “Il presente è l’infinito in movimento, la legittima sfera del Relativo. Il Relativo cerca l’Armonia, e l’Armonia è Arte. L’arte del vivere consiste in una continua ricerca di armonia rispetto a quello che ci circonda. Il Taoismo accetta l’esistente così com’è, e diversamente dal confucianesimo e dal buddhismo cerca di trovare la bellezza in questo mondo di sofferenze e di affanni.”
siste una famosa allegoria in Cina per evidenziare quest’aspetto: Buddha (rappresentante il Buddhismo), Confucio (del Confucianesimo) e Lao-Tzu (Taoismo) un giorno si trovano davanti una brocca piena d’aceto, che rappresenta la vita. Tutti e tre intingono il dito e l’assaggiano. Buddha lo trova amaro, Confucio acre, mentre Lao-Tzu dolce. I Taoisti quindi si sforzano di trovare ciò che di bello, di armonioso c’è nella vita. Per far ciò però è necessario conoscere la vita stessa, alla stessa maniera di come un attore interpreta la sua parte al meglio conoscendo l’intero copione. Il senso della totalità non deve mai perdersi in quello dell’individuo. Per spiegare questo concetto, Lao-Tzu soleva usare la metafora del vuoto. Solo nel vuoto possiamo trovare ciò che è veramente essenziale. Se prendiamo ad esempio una stanza, la sua realtà non va cercata nelle pareti, nel pavimento o nel soffitto, bensì nello spazio vuoto delimitato da quelle pareti. L’utilità di una brocca d’acqua non stà nella brocca in se, ma nello spazio vuoto nella quale possiamo mettere l’acqua. In campo artistico questo aspetto si esprime nella capacità d’immaginazione di ognuno di noi; attraverso quello che non è stato espresso offriamo all’osservatore la possibilità di completare l’idea di quell’opera. C’è un vuoto per consentirci di entrare e colmarlo, in base al nostro modo di vedere le cose.
Queste idee sono alla base della dottrina Zen; di più, si ampliano ed accentuano rispetto al Taoismo. Il termine Zen significa meditazione; solo attraverso la meditazione sacra è possibile raggiungere la suprema realizzazione di noi stessi. Secondo il Buddhismo, la meditazione è il principale modo attraverso il quale è possibile raggiungere lo stato di Buddha, e questa conoscenza è ben fondata nella dottrina zen, in quanto fu trasmessa da patriarca a patriarca buddhista nei secoli fino a Bodhidharma, il fondatore della dottrina Zen.
Lo Zen ha diversi punti di contatto con il Taoismo; entrambe le culture si basano sul concetto che l’Assoluto è il Relativo, e tutte e due sono fautrici dell’individualità. Niente è reale, se non quello che esiste nella propria mente. Un’allegoria esprime chiaramente questi concetti fondamentali: un giorno, il taoista Soshi passeggiava lungo la riva del fiume in compagnia di un amico, ed esclamò: “Come si divertono i pesci in acqua”. L’amico allora disse: “Tu non sei un pesce, come fai a sapere che i pesci si divertono?” e Soshi a sua volta disse: “Tu non sei me. Come puoi sapere che non so che i pesci si divertono?”
Lo Zen riconosce pari valori tra le cose della sfera materiale e quelle della sfera spirituale. Al tempo stesso, non esistono differenze tra cose piccole e cose grandi; un atomo riveste la stessa importanza dell’Universo stesso. Da questi aspetti fondamentali deriva il concetto che per riecercare la perfezione è necessario scoprire nella propria vita il riflesso della luce spirituale. Questi fondamenti si riflettono non solo negli scritti o nei dogmi della dottrina Zen, ma anche in ogni singolo gesto o aspetto della vita quotidiana. Se prendiamo il tipico monastero Zen e ne studiamo l’organizzazione, noteremo che tutti (escluso l’abate) hanno un preciso compito da assolvere nel monastero, e che ai novizi spettano le mansioni più leggere, mentre ai monaci più rispettati ed anziani le mansioni più faticose ed umili. Queste attività sono parte integrante della disciplina Zen, e devono ovviamente essere compiute nel modo migliore possibile.
Questi aspetti, alla base della dottrina Zen, sono di conseguenza alla base del Teismo e della Cerimonia del tè Giapponese; il Teismo ha come ideale quello di cogliere la grandezza anche nelle cose più piccole della vita. Lo Zen è la rappresentazione pratica dei concetti del Taoismo da un certo punto di vista, ed il Teismo possiamo considerarlo una di queste rappresentazioni.

La filosofia del Cha No Yu
Il Cha no yu si basa su 4 principi fondamentali:

1 Wa, cioè Armonia, che si esprime attraverso le relazioni tra gli ospiti, tra gli ospiti ed il padrone di casa, tra gli oggetti, tra i suoni e tutto quello che esiste. Le relazioni così instaurate si rifanno alla concezione Zen, in cui l’effimero delle cose si riflette nel loro continuo mutamento, ma dato che solo quello che è nella nostra mente è reale, questo effimero sale al valore di realtà ultima delle cose. Tale principio si basa sul distaccarsi da ogni estremismo e presa di posizione, incamminandosi lungo la via della moderazione e della “Via di mezzo”, propria delle dottrine Buddhiste.

2 Kei, cioè Rispetto, sia verso le persone con le quali celebriamo il Cha no yu, sia verso tutte le cose e gli oggetti, con un sentimento di sincera gratitudine per la loro esistenza.

3 Sei, cioè Purezza, intesa nella concezione Zen. Non è quindi la distinzione dall’Impurezza così come la intendiamo (Puro ed Impuro secondo il significato che noi gli diamo partecipano entrambi alla rappresentazione della realtà), e questo aspetto si esprime soprattutto quando si pulisce la stanza per la cerimonia e la si riordina. Significa esprimere ciò che è bello e di farlo emergere, farlo esprimere, renderlo evidente, ed al tempo stesso è una metafora per noi stessi, che ci “puliamo” dei nostri disordini mentali e spirituali, che vanno spazzati dai vincoli mondani e dalle preoccupazioni.

4 Jaku, cioè Tranquillità, rappresenta il fine ultimo della cerimonia che si raggiunge attraverso l’applicazione delle prime 3 virtù. Una volta mondati dalle preoccupazioni materiali e raggiunto lo stato di armonia interiore, chi prepara e beve il tè si avvicina allo stato di Sublime Serenità. Il fatto che la cerimonia avviene in compagnia, vuol dire trovare la serenità in noi stessi in compagnia degli altri.

4-principi-cha-no-yu



l teismo nella società giapponese ha acquisito nel corso dei secoli una grandissima risonanza in diversi campi: non si tratta di una semplice cerimonia per prendere il tè in compagnia, ma di una vera e propria filosofia che, attraverso gli insegnamenti dei maestri del tè che nel corso dei secoli hanno definito il Cha No Yu, ha influenzato l’arredamento, il modo di vestire, il modo di cucinare, la ceramica, la scrittura, persino le abitudini. Questa dottrina ha una tale importanza che quando si parla di una persona insensibile agli eventi della propria vita, si dice di lui che “non ha il tè”; viceversa, chi si trascorre una vita disordinata abbandonandosi a sentimenti troppo esuberanti ed ignorando la tragicità della vita, si dice che “ha troppo tè”. La filosofia del tè è quindi un modo attraverso il quale viene visto l’uomo in relazione con la natura; è igiene in quanto richiede la più rigorosa pulizia, è economia perchè dimostra che il benessere risiede nella semplicità piuttosto che nell’ostentatezza, è geometria morale in quanto rappresenta il rapporto tra i nostri sentimenti e l’Universo.

La stanza della cerimonia del tè

Fin qui abbiamo visto che la concezione Zen pone enfasi ed importanza su qualsiasi aspetto della vita che ci circonda. Questo modo di vedere le cose si riflette anche sulla concezione del Cha no yu. Al di là dello svolgimento vero e proprio della cerimonia, con tutta la risualità ed i singoli significati che ogni gesto porta con se, il primo aspetto caratteristico è dato dalla stanza in cui si svolge la cerimonia. Inizialmente, quando la cerimonia doveva ancora essere codificata così come è conosciuta ai giorni nostri, si tendeva a riservare una piccola zona della casa opportunamente delimitata; ben presto però si iniziarono a creare vere e proprie strutture, in genere distaccate dal resto della casa, per la cerimonia.

roji Il roji




La prima cosa che salta all’occhio è la semplicità e l’austerità che sembrano caratterizzare la struttura. La stanza deve trasmettere un’idea di semplicità e povertà ed in genere è molto piccola. Questo però non deve ingannare; in genere queste strutture sono il risultato di un’elaborata concezione artistica e vengono costruite avendo a cura ogni minimo dettaglio, tant’è che in Giappone esistono costruttori edili specializzati proprio per le case per la cerimonia. L’idea di semplicità e povertà rispecchia uno dei principi Zen, che tra l’altro lo differenziano da tutte le altre culture Buddhiste; le stanze per il tè rispecchiano i canoni costruttivi dei monasteri Zen, che non sono luoghi di preghiera o di pellegrinaggio, ma semplici luoghi in cui i monaci discutono tra loro e meditano. Da notare che la cerimonia ha legami anche con le stesse abitudini dei monaci, che solevano riunirsi in una sala comune del monastero, in genere attorno ad una statua rappresentante Bodhidharma, a bere a turno tè da una stessa ciotola.

mizuya Il mizuya



L’intera area è composta da 4 parti: la Sukiya, ovvero la stanza vera e propria per la cerimonia, in genere progettata per accogliere un più di 5 persone; la Mizuya, cioè un’anticamera nella quale gli utensili per la cerimonia vengono lavati e preparati per l’uso; la Machiai, che è un portico dove gli invitati per la cerimonia attendono l’invito ad entrare; il Roji, cioè il sentiero nel giardino che collega il machiai alla stanza da tè.

sukiya Il sukiya. Questo termine è in genere usato come sinonimo del termine Chashitsu (茶室); di norma si usa il termine sukiya per indicare un particolare stile architettonico per la stanza del tè.



L’ospite inizialmente attraversa il roji, il cui significato è quello di spezzare i legami con il mondo esterno e far entrare il proprio spirito in comunione con la natura. Il modo in cui il roji stesso è strutturato richiama a questo concetto; pietre disposte in maniera irregolare, sulle quali si calpestano gli aghi di pino caduti dagli alberi mentre si passa accanto a lanterne di granito ricoperte di muschio sotto la penombra della luce filtrata dai sempreverdi. Le sensazioni che affiorano mentre si percorre questo cammino variavano a seconda di quale Maestro della cerimonia del tè vogliamo rifarci; ad esempio per Rikyu era la ricerca della solitidune, mentre per Kobori Enshu la rappresentazione di un’anima che si è appena risvegliata. Una volta percorso il roji, l’ospite entra infine nella stanza; per far ciò, è necessario passare per una porta in genere non più alta di un metro, che costringe a chinarsi. Questo gesto vuole richiamare il concetto di umiltà nell’ospite. Gli ospiti entrano uno alla volta, e si siedono dopo aver reso omaggio alla composizione floreale od al dipinto collocati nel tokonoma (una piccola nicchia dove si trova tra l’altro appeso uno scritto eseguito da un calligrafo esperto di shodō). Solo a questo punto entra il padrone di casa.

Tokonoma Il tokonoma



La stanza della cerimonia è in genere quasi del tutto sgombra; oltre a quanto si trova nel tokonoma, si trovano nella stanza solo quanto necessita per preparare e bere il tè. La stanza è colorata con colori sobri, e gli stessi ospiti sono tenuti a vestire con abiti poco appariscenti. La luce solare penetra nella stanza smorzata, in modo che la luce non la invadi. Durante la preparazione del tè si siede in rigoroso silenzio; gli unici suoni che si sentono provengono dal bollitore che scalda l’acqua, dalle bolle che si formano e dal particolare suono di piccoli pezzi di ferro che si trovano nel bollitore stesso. Non è neanche possibile avere con se oggetti che fanno pensare ad un acquisto recente, con l’esclusione del mestolo di bambù e del tovagliolo di lino che devono essere nuovi ed immacolati. Altra cosa che salta all’occhio, è lo stato di perfetta pulizia che si ha in ogni angolo ed oggetto della stanza. Non di meno, anche la pulizia della stanza segue particolari riti che vanno eseguiti. Colui che presenta agli ospiti una stanza non in perfette condizioni non può essere considerato un Maestro del tè.
Lo Zen, che si basa sull’impermanenza delle cose e sulla capacità di elevare il dominio dello spirito sulla materia, considera la casa soltanto come un temporaneo rifugio per il corpo. Il corpo stesso è un mero involucro temporaneo. La stanza del tè tende ad evocare questi aspetti attraverso la concezione strutturale: il tetto di paglia, le fragili colonne sottili, la leggerezza dei sostegni di bambù, l’apparente trascuratezza dell’uso di materiali ordinari. Al tempo stesso, la struttura deve essere costruita in conformità al gusto individuale della persona, a riconferma del principio che l’arte è vita.
La stanza è anche denominata come “Dimora del Vuoto”, facendo quindi un chiaro richiamo alla concezione Taoista. La stanza come già detto risulta del tutto vuota, ad eccezione dell’unica decorazione che si trova nel tokonoma. La scelta della decorazione in base alla stazione richiama il concetto di mutabilità, mentre la sola presenza di questa decorazione richiama il concetto di potersi concentrare su quell’unico aspetto dominante, perchè la vera comprensione del Bello è possibile solo se ci si concentra su quell’unico aspetto. Al tempo stesso, la stanza prende il nome di “Dimora dell’Assimmetrico”. La filosofia Taoista e Zen pone più l’enfasi non tanto alla perfezione, quanto al percorso che conduce alla perfezione; ma per intraprendere questo percorso bisogna saper cogliere le vera bellezza delle cose, cosa che si può ottenere solo chi con la propria mente avesse completato l’incompleto. In base a questo concetto, la dottrina Zen evita deliberatamente di ricercare la simmetria nelle cose, e questo aspetto si riflette nella cerimonia del tè, dove il timore della ripetizione diviene una costante. I diversi oggetti dell’arredamento vanno scelti in modo da evitare qualsiasi ripetizione di colori o motivi, se è presente un fiore non sono ammessi dei dipinti raffiguranti fiori, se il bollitore è rotondo il bricco dovrà essere spigoloso, e così via.
Particolare attenzione viene rivolta alla composizione floreale (l’Ikebana, l’arte giapponese della disposizione dei fiori recisi) che viene posta nel tokonoma. Non a caso, si ritiene che l’arte della composizione floreale sia nata nello stesso periodo di nascita del teismo, nel XV secolo. In genere si tratta di una composizione che intende rispecchiare uno specifico tema. Di norma la scelta è in base al periodo stagionale, e più in generale ogni singolo elemento viene scelto con estrema cura, senza mai perdere di vista la composizione artistica che si ha in mente. Da notare che, a differenza della cultura occidentale, non si taglia mai dal fiore niente che non sia strattamente necessario; ad esempio, vengono sempre lasciate le foglie, se ce ne sono, perchè lo scopo è quello di mostrare la bellezza floreale integra nella sua bellezza. Il fiore nel tokonoma è come un principe sul trono; tutti gli invitati, una volta entrati, vi si pongono davanti e si prostrano in un profondo inchino in segno di rispetto; in genere insieme al fiore non viene accostato nulla che possa interferire con l’effetto prodotto, tranne in quei rari casi in cui si abbia un particolare motivo estetico per farlo. Ciò non di meno, va sempre ricordato che questa composizione artistica è comunque sempre subordinata ai canoni principali sui quali si basa la cerimonia; l’opera è pensata in funzione del resto dell’ambiente. Così, ad esempio, fiori dai colori troppo sgargianti sono in genere banditi, così come composizioni troppo ostentate od elaborate.

Svolgimento della cerimonia

La cerimonia del tè è composta da 3 momenti distinti:

- Kaiseki un pasto leggero consumato prima del tè;
- Koicha il tè denso;
- Usucha il tè leggero.

Mentre il kaiseki è un momento comunque presente durante il cha no yu, la cerimonia stessa può essere “suddivisa” in 2 aspetti distinti: quelle del Koicha e dell’Usucha. Dato che la cerimonia, in base a diversi aspetti quali il numero ed il tipo di invitati, la quantità di cibo servita ed altri aspetti, può durare da 20 minuti fino a 4-5 ore ed oltre, spesso non viene compiuta in tutta la sua estensione. Per manifestazioni che richiedono tempi più “stretti”, la parte relativa al Koicha viene in genere saltata, soprattutto per situazioni più “informali”, riservandola in genere per occasioni speciali o cerimoniali
Il “protocollo” per lo svolgimento della cerimonia è estremamente rigido e minuzioso, e ricalca sotto questo punto di vista la “puntigliosità” che già si è avuto modo di notare per la definizione di tutto l’ambiente per il cha no yu. Questo corpo di regole si estende fin alle fasi prima della cerimonia vera e propria, dato che anche l’atto di invito degli ospiti è disciplinato; elementi come il numero di giorni d’anticipo per l’estensione dell’invito (in genere non più di 5) od il numero degli ospiti non sono mere formalità.

Nijiriguchi Il Nijiriguchi, il piccoloingresso dal quale si entra nella stanza del tè.



Di norma, gli invitati vengono fatti attendere nel Machiai, il portico che si trova adiacente alla stanza della cerimonia, fino al momento in cui vengono fatti entrare dal padrone di casa (l’ospite), in genere attraverso un gesto come il bruciare dei sali d’incenso o, più generalmente, suonando un gong. Gli invitati quindi, come abbiamo già visto, attraversano il roji e prima di entrare nella stanza vera e propria sostano a lavarsi le mani ed a sciacquarsi la bocca con dell’acqua contenuta in una pietra incavata; solo ora entrano nella stanza (un tempo i samurai dovevano lasciare le armi al di fuori della stanza, perchè la stanza della cerimonia è un luogo di pace e tranquillità interiore) seguiti per ultimi dall’ospite quindi si fermano ad ammirare e rendere omaggio all’ikebana (la composizione floreale) ed all’opera calligrafica appesa alla parete (il kakejiku) nel tokonoma, prendono visione della zona della stanza in cui verrà bollita l’acqua e finalmente prendono posto attorno al tavolo.
L’ospite porta con se l’acqua e tutta la strumentazione necessaria per preparare il tè. Egli lo prepara direttamente nella stanza in cui lo si berrà; tradizione vuole che l’acqua venga bollita sul ro (d’inverno) o sul furo (d’estate) posto proprio accanto a dove siedono gli invitati. Durante questa fase, gli invitati rimangono in silenzio ascoltando l’acqua che bolle, con in genere il suono prodotto da alcuni pezzi di metallo lasciati nel bollitore stesso. Una volta bollita l’acqua questa viene presa con un mestolo dall’ospite, versata per un terzo in una ciotola asciugata con un tovagliolo di lino (l’acqua restante viene rimessa nel bollitore) e quindi addizionata del matcha (il tè) in genere nella quantità di 3 cucchiaini, per poi essere frullato con l’attrezzatura apposita.
Quando si procede alla fase del koicha, il tè così preparato viene offerto al primo invitato; la ciotola viene posta vicino al focolare, l’invitato si avvicina e prende la tazza tenendola col palmo della mano sinistra ed il bordo con la mano destra. Assaggia un piccolo sorso di tè, ne assapora l’aroma ed il gusto e quindi lo commenta, ne beve altri 2 sorsi e pulisce col tovagliolo il bordo della tazza dal quale ha bevuto per poi passarla all’invitato successivo. Il rito così si ripete invitato per invitato, fino a quando la tazza non torna nelle mani dell’ospite. A questo punto è possibile che l’invitato più importante chieda di ammirare la tazza dalla quale si è bevuto, per commentarne la bellezza e la qualità. Il rito dell’usucha risulta diverso; una volta preparato il tè nella ciotola, il primo invitato ne beve tutto il contenuto, con le dita ne pulisce il bordo e poi si asciuga le mani con il tovagliolo, per poi ridare la tazza all’ospite. Questi pulisce la ciotola e prepara una tazza di tè per l’invitato successivo.

Ro Il ro



Che la cerimonia sia di Koicha o di Usucha, il padrone di casa offre la tazza all’invitato presentandogli sempre la parte più bella, che avrà cura di girarla in modo da non bere dalla parte migliore. La degustazione viene in genere preceduta, od accompagnata, dal Kaiseki, ed una volta terminata la cerimonia l’ospite ripone gli utensili, si inchina ai suoi invitati e quindi li congeda.
I tipici utensili per lo svolgimento della cerimonia sono diversi: il tè viene scaldato in un bollitore che prende il nome di kama; il kama viene scaldato sul Ro (fornace) ovvero una buca di forma quadrata ricavata su uno dei tatami, se la cerimonia si svolge d’autunno o d’inverno, oppure sul furo (braciere), che viene appoggiato direttamente sul tatami, se la cerimonia si svolge d’estate o di primavera. Il tè viene sbattuto con il chasen, un frullino in bambù che si usa per mescolare il tè con l’acqua bollente, mentre il tè viene poi versato nella chawan, la tazza dalla quale poi si andrà a bere (anche la chawan è in stile con la stagione attuale). Altri utensili sono il chashaku (cucchiaio in bambù per raccogliere il tè in polvere), il chakin (pezza di lino usata per pulire la chawan dopo averla lavata con acqua), le Hashi (bacchette di legno usate dagli invitati per servirsi di cibo e di dolci), il Chaki (recipiente per il tè), il Chashaku (cucchiaio di bambù, usato per prendere il tè dal Chaki e metterlo nella tazza).

Il tè utilizzato: il matcha

Lo svolgimento della cerimonia del tè avviene attraverso l’utilizzo di un tipo particolare, il Matcha. Si tratta di una tipologia di tè verde, ma che viene usato in maniera completamente diversa rispetto al solito. Ne esistono 2 varianti: una usata per il koicha (tè spesso) proveniente dalle foglie più giovani delle piante di età superiore a 30 anni, ed una usate per l’usucha (tè sottile) proveniente dalle foglie più vecchie delle piante di età inferiore ai 30 anni. Le foglie vengono triturate fino a polverizzarle, dopodichè vengono aggiunte all’acqua calda e mescolate con il chasen. Non si tratta quindi di un’infusione, ma di una sospensione solida in un liquido. In genere per il tè sottile viene usata in proporzione una quantità doppia d’acqua, risultando quindi più pastoso. Questo è il tè che, fin dai primordi, viene utilizzato per la cerimonia del tè; data la particolarità con il quale viene preparato, oltre che per il tipo di scelta delle foglie da raccogliere sulla pianta, fornisce un effetto molto più eccitante rispetto agli altri tè, tant’è che era proprio in questa forma che i monaci buddhisti ne facevano uso per favorire le meditazioni notturne. Il tè che se ne ottiene ha un tipico aspetto di colore verdognolo acceso, con la formazione di una leggera schiuma in superficie. Questo tè viene coltivato in luoghi di completa oscurità; questo conferisce al prodotto finale più vitamine, clorofilla e Sali minerali, oltre a fornire un sapore ed un profumo più erbaceo alla pianta.

matcha Il matcha



Cerimonia Cerimonia del tè, secondo lo stile ryaku-bon, che consiste in una forma semplificata della cerimonia. Questo stile fu ideato da Tetchū Sōshitsu (鉄中宗室), il cui nome monastico era Ennōsai. E' possibile vedere la classica posizione inginocchiata tenuta dalle donne durante la cerimonia del tè, con le punte dei piedi ad uscire leggermente a rientrare (i maschi in genere si siedono a gambe incrociate).



Info: Foglie Di Tè

 
Top
view post Posted on 21/12/2011, 19:59
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Il Tempio Ssanggyesa

aaa1-5


La strada affiancata da ciliegi che conduce al tempio Ssanggyesa (쌍계사 雙磎寺) è uno dei viali fioriti più famosi della Corea. Ogni anno i ciliegi vi fioriscono dall'inizio della primavera fino a metà aprile e sembra che gli alberi che costeggiano il percorso estendano i loro rami carichi di colori verso i passanti. L'immagine del tempio Ssanggyesa, annidato nella bellezza antica del paesaggio del monte Chirisan (지리산 智異山), è così attraente da rinfrancare lo spirito dei visitatori provenienti dalle città.
Questa strada è stata famosa per i suoi alberi di ciliegio fin dall'antichità, fin dai tempi del regno di Koryŏ (918-1392), e le registrazioni storiche ci fanno sapere che fu chiamata Hwagae, che significa “un luogo pieno di fiori”. Si dice che le coppie che percorrono insieme questa strada da un capo all'altro si sposeranno presto e per questo motivo la strada è anche nota come “strada dei matrimoni”.

aaa2-4


Ssanggyesa è famoso per varie cose. Innanzitutto per due monumenti in pietra posti all'ingresso del tempio, con iscrizioni del grande letterato Ch'oe Ch'i-wŏn del periodo Silla. Poi per una pagoda e un monumento al famoso monaco buddista Chin'gam kuksa, monumento che è stato designato tesoro nazionale numero 47. A circa 2 chilometri a nord-est del tempio si trova inoltre la rinomata cascata Puril, le cui acque cadono in un dirupo fra i picchi Ch'ŏnghakpong e Paekhakpong.

aaa6-3


Ssanggyesa è anche famoso per il suo stretto collegamento con il tè. Si dice che gli arbusti del tè portati dalla Cina Tang durante il periodo Silla e piantati nel terreno del tempio fossero le prime piante di tè piantate in Corea. Oggi si possono ancora vedere zone di tè selvatico nei campi che circondano il tempio e queste piante sono state designate monumenti naturali per poterle conservare intatte.
Non è una coincidenza che le coltivazioni di tè di Posŏng della regione Chŏlla-namdo, il maggiore produttore di tè verde della Corea, siano vicine al tempio Ssanggyesa. ll verde fresco dei campi da tè di Chirisan è più bello quando termina la fioritura dei ciliegi.

aaa5-3


La cultura del tè coreano iniziò con i monaci buddisti che bevevano il tè durante i loro esercizi spirituali, e di lì l'usanza fu trasmessa alla gente comune. In passato il tè prodotto con giovani foglie di tè raccolte verso la fine della primavera era considerato il migliore. Ancora oggi nel tempio Ssanggyesa la coltivazione delle piante di tè, la preparazione e il consumo del tè sono considerati una parte importante dell'addestramento mentale dei monaci.
Si arriva all'ingresso del tempio dopo aver attraversato l'area Iljumun, che è la prima zona in cui si coltivò il tè in Corea.
Si passa poi sotto un portale, dove sono venerati due monaci bambini, rappresentati l'uno a cavallo di un leone, l'altro a cavallo di un elefante. Un'altra porta sotto la quale si passa è quella dei quattro guardiani che conduce al padiglione P'aryŏngnu e alla sala principale del tempio. Qui si trova un monumento che narra la vita e le opere del monaco Chin'gam kuksa, fondatore di Ssanggyesa. Il testo, in cinese, che compare sul monumento fu scritto dal grande letterato Ch'oe Chí-wŏn, una figura leggendaria che si dice abbia trascorso gli ultimi anni di vita nel folto della montagna per diventare un immortale taoista.

aaa3-4


L'iscrizione sul monumento dice che il monaco Chin'gam kuksa era così abile nel canto buddista che la sua voce risuonava come l'oro e la seta, ed era allo stesso tempo rinfrescante e lamentosa. Ciò dimostra che che Chin'gam era un maestro nella musica vocale che accompagna i riti buddisti, una musica che si potrebbe paragonare al nostro gregoriano. In Corea questo tipo di musica, chiamata pŏmp'ae (범패 梵唄 canto buddista), è considerato una delle tre principali forme di musica vocale, assieme al kagok (가곡 歌曲 canto di poesie) e al p'ansori (판소리 narrativa cantata).

aaa7-3


Il tempio Ssanggyesa è noto in Corea per essere stato il luogo in cui si è sviluppata l'arte del canto buddista nei primi tempi. Si dice che Chin'gam kuksa, il fondatore, abbia studiato musica buddista in Cina e che l'abbia poi introdotta in Corea, dove creò dei canti adatti alla popolazione coreana e istruì vari maestri di canti buddisti. Il luogo in cui il monaco teneva i suoi corsi di musica era il padiglione P'aryŏngnu che prende il nome dal fatto che quivi Chin'gam kuksa compose un canto sulle virtù del Budda basato sugli otto toni (p'arŭm) mentre osservava le carpe che nuotavano nel sottostante fiume Sŏmjin-gang.

aaa8-2


Gli edifici originali del tempio Ssanggyesa furono quasi tutti bruciati durante le invasioni giapponesi degli anni 1592-1598. Dopo di allora il tempio fu ricostruito e ampliato molte volte. La sala principale è conservata come un prototipo dell'architettura lignea buddista del periodo Chosŏn. Nella montagna attorno al tempio vi sono altre cose interessanti. In un recesso tranquillo della montagna si trova l'eremo Kuksa-am, dove il monaco Chin'gam kuksa visse e morì. Di fronte a questo eremo si trova l'olmo piantato dallo stesso Chin'gam kuksa. Quest'albero rivolge i suoi rami verso l'alto nelle quattro direzioni e sembra sostenere il cielo, un po' come i quattro guardiani celesti che proteggono il buddismo, per cui viene anche chiamato Sach'ŏnwangsu, o “albero dei quattro re del cielo”.
La cascata Puril, che dista poco più di 2 chilometri dal tempio, è una delle poche cascate del monte Chirisan. Quando il volume è abbondante, l'acqua scende per tutti i 60 metri della scogliera e il rombo dell'acqua che cade si può sentire fino a un chilometro di distanza.
Lungo la strada dalla cascata al tempio si trova lo stupa Ssanggyesa (tesoro numero 308), monumento che si pensa contenga i resti del monaco Chin'gam kuksa. Ma, più che per la vista dello stupa, questo luogo è notevole per l'incantevole veduta del tempio, con i suoi gruppi di edifici che si intravedono fra i fiori di camelia e i boschetti di bambù, il tutto circondato dal rumore soffuso dei corsi d'acqua che scendono a valle.
Secondo le leggenda della fondazione del tempio, una tigre aprì la strada verso questo sito. Ma non è necessario un geomante pratico nell'identificazione di siti propizi per apprezzare la vista magnifica delle colline e dei corsi d'acqua. Il luogo è così bello che uno è portato a credere che la leggenda della tigre sia vera.

aaa4-4


Un altro punto panoramico da non perdere è quello chiamato eremo Ch'ilburam, che si trova molto più nascosto nei recessi della montagna. Da questo punto si ha una bellissima vista dei picchi del monte Chirisan, che si propendono verso l'alto e si coprono gli uni con gli altri. Ch'ilburam è anche famoso per la storia legata alla sua camera con il pavimento riscaldato (ondol). La storia narra che un fuoco acceso sotto il pavimento mantenne calda la stanza per ben 49 giorni.

aaaa


Ssanggyesa, dove sono state coltivate le prime piante di té in Corea e dove si è sviluppata la musica buddista, è un tempio importante nella storia, nella cultura e nella religione coreana. Ed è anche molto bello.
È bello in tutte e quattro le stagioni, in primavera con la gloria dei ciliegi in fiore, d'estate con il fresco della cascata Puril, d'autunno con i gialli e rossi delle foglie degli alberi, d'inverno con i monaci che attendono ai loro doveri. La bellezza scenica del tempio Ssanggyesa lo rende adattissimo a liberarsi delle preoccupazioni di ogni giorno, bevendo una tazza di tè verde che fu anche apprezzato dagli immortali che vissero in questi boschi montani.

cc1-1



Altre immagini sotto spoiler


Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
Kimu
view post Posted on 22/12/2011, 13:59




Castello di Himeji



0607_japan



Il Castello di Himeji (姫路城 Himejijō?) è un edificio a scopo militare che si trova a Himeji, nella prefettura di Hyōgo, in Giappone. Si tratta di una delle più vecchie strutture del periodo Sengoku che siano giunte fino a noi e dal 1993 è stato inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Insieme ai castelli di Kumamoto e Matsumoto fa parte dei cosiddetti Tre castelli giapponesi, oltre ad essere il più visitato dai turisti. Il castello di Himeji è a volte conosciuto col nome di Hakurojō o Shirasagijō, cioè airone bianco, a causa del suo aspetto esteriore di un colore bianco brillante.

Architettura

Il castello di Himeji è un tipico esempio di castello giapponese, che contiene molte delle strutture architettoniche e difensive presenti in questo tipo di strutture. Le alte fondazioni in pietra, i muri bianchissimi e l'organizzazione e disposizione degli edifici all'interno del complesso sono un elemento standard di ogni tipico castello giapponese, come anche le postazioni dell'artiglieria e i fori per il lancio di pietre contro il nemico. Il maschio, la struttura centrale del complesso, venne eretto nel 1601.
La più importante, e probabilmente più famosa, struttura difensiva del castello di Himeji è costituita dal dedalo di stradine che conduce al maschio centrale. Le porte d'accesso, i bastioni e le mura esterne sono state costruite in modo da condurre le forze nemiche che volessero avvicinarsi al castello in un percorso a spirale, con numerosi vicoli ciechi, permettendo ai difensori di tenere sotto tiro gli attaccanti per tutto il periodo del loro tentativo di avvicinamento. Il castello non è comunque mai stato attaccato in questo modo, quindi il sistema difensivo non ha potuto dare prova della sua efficacia.

Storia

Il castello venne progettato e costruito nel corso del periodo Nanboku-chō, durante il periodo Muromachi. In questo periodo esso era conosciuto col nome di castello di Himeyama. Nel 1346 Akamatsu Sadanori pianificò la costruzione di un castello ai piedi del monte Himeji, dove Akamatsu Norimura aveva costruito il tempio di Shomyoji. Dopo che Akamatsu cadde in seguito alla ribellione Kakitsu, il clan Yamana si impossessò per breve tempo della struttura, ma dopo la guerra Ōnin essa ritornò in mano alla famiglia Akamatsu.
Nel 1580 Toyotomi Hideyoshi si impossessò del castello e Kuroda Yoshitaka costruì una torre di 3 piani a scopo difensivo. Dopo la battaglia di Sekigahara, nel 1601 Tokugawa Ieyasu assegnò il castello a Ikeda Terumasa, che iniziò un progetto di espansione durato 7 anni e al termine del quale l'edificio raggiunse la forma che in gran parte è quella conservatasi fino ai giorni nostri. L'ultima grande struttura venne costruita nel 1618.
Himeji fu uno degli ultimi possedimenti dei tozama daimyō alla fine del periodo Edo; esso venne tenuto dai discendenti di Sakai Tadasumi fino alla restaurazione Meiji. Nel 1868 il nuovo governo giapponese mandò un esercito da Okayama, agli ordini di uno dei discendenti di Ikeda Terumasa, con l'ordine di espellerne gli occupanti senza danneggiare la struttura.
Con l'abolizione del sistema han del 1871 il castello venne venduto all'asta, comprato dallo stato per 23 yen dell'epoca. Alla fine della seconda guerra mondiale il castello di Himeji venne bombardato ma, benché gran parte dell'area circostante venne rasa al suolo, esso non subì danni sostanziali. Nel 1956 iniziò il lavoro di restauro.

Cinema e televisione

Il castello di Himeji appare molto frequentemente nella televisione giapponese. La residenza dell'imperatore del Giappone, conosciuta col nome di Kokyo, non possiede un maschio, così quando una produzione televisiva ha bisogno di una struttura che ne abbia uno solitamente si fa ricorso al castello di Himeji.

Questo edificio appare poi in alcuni famosi film:

Agente 007 - Si vive solo due volte, con Sean Connery (1967), dove il castello è la scuola segreta di addestramento dei ninja e il centro di sviluppo delle armi di Tiger Tanaka, un alleato di James Bond;
Ran, di Akira Kurosawa (1985);
L'ultimo samurai, con Tom Cruise (2003), in cui il castello viene utilizzato in alcune scene imbiancato da neve artificiale;
Shogun - Il signore della guerra, con Richard Chamberlain (1980), girato in parte al castello di Himeji anche se nel film viene chiamato castello di Osaka.

Alcune immagin sotto spoiler:



Info: Wikipedia
 
Top
Kimu
view post Posted on 22/12/2011, 14:42




Love hotel giapponesi



love-hotel



I love hotel (ラブホテル abu hoteru) sono alberghi che consentono di restare in stanza sia per qualche ora (questa opzione è denominata "rest"), sia per una notte intera (questa opzione è denominata "stay"). Sono molto diffusi negli stati asiatici come la Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong, ma soprattutto in Giappone.
All'entrata dei love hotel ci si trova davanti ad un pannello luminoso in cui si vedono le fotografie delle camere e il relativo prezzo per le due opzioni rest e stay. È sufficiente premere il tasto corrispondente alla camera che si desidera, ritirare la chiave o un biglietto, e salire in stanza.
A seconda dell'hotel, si può pagare direttamente in camera tramite un sistema automatico, oppure prima di lasciare l'hotel alla reception. Le caratteristiche principali di questi love hotel sono la riservetezza e la fantasia. La riservatezza garantita dal fatto che l'albergatore che è nascosto da uno sportello oscurato oppure le camere sono prenotabili tramite delle machinette automatiche.

131588630bd3b10fb6exk8



I love hotel hanno strutture fantasiose ad esempio riproducono castelli, ambienti spaziali con luci al neon o delle navi.

Privacy

La privacy nei love hotel è pressoché totale. Non vengono richiesti documenti per pernottare e non si vede mai in faccia chi sta alla reception dato che sia per pagare sia per chiedere eventuali informazioni si parla attraverso un vetro schermato.
Tutto questo fa dei love hotel il posto perfetto per le coppie che desiderano un luogo sicuro e tranquillo per fare sesso.

Servizi dei love hotel

Come dice lo stesso nome, dall'inglese "love" che significa "amore", questi hotel sono destinati alle coppie che vogliono passare del tempo insieme sono perciò dotati di letti matrimoniali, bagno in camera, televisione con programmi erotici e alcuni offrono oggetti da affittare o comprare.
Alcuni di questi hotel hanno anche degli apparrecchi per riprodurre dei suoni comuni in modo che se si telefona a qualcuno è possibile fargli credere di essere in un altro luogo ad esempio possono riprodurre il rumore delle slot machine. Ogni camera è diversa dall'altra e sono tutte 'a tema': Hello Kitty, manga, viaggio nello spazio, il circo, la scuola, lo studio del dottore e chi più ne ha più ne metta. Per accedere alla camera è sufficiente premere un tasto e ritirare le chiavi. Ma i giapponesi le pensano proprio tutte e, per una maggior riservatezza, questi hotel hanno due entrate. Per la permanenza è possibile usufruire di due varianti: la "stay", se si vuole trascorrere la notte lì, e la "rest" se, invece, si vuole la camera solo per qualche ora. Alla reception c'è un pannello "illustrativo"sul quale è possibile vedere le foto di tutte le stanze arredate a tema e in cui è possibile trovare vestaglia, ciabatte, asciugamani, Internet e video sexy.

Cenni storici

Probabilmente l'origine di questi hotel è legata alle camere per il té, detta chaya, utilizzate dalle prostitute e dai loro clienti fin dal periodo Edo. Dopo la Seconda Guerra mondiale presero il nome di tsurekomi yado e vennero poi eliminati nel 1958, quando venne abolita la prostituzione legale.
Negli anni '60 la diffusione delle automobili portarono alla nascita dei motel, che vennero però sostituiti tra gli anni '70 e '80 dai love hotel, che nacquero ad Osaka e si diffusero nel resto del Giappone.

Prezzi

Generalmente i prezzi variano fra i 6.000 e i 12.000 yen, ossia fra i 45 e i 90 euro, generalmente nei weekend i prezzi sono più alti e si paga meno se si affitta la stanza per due-tre ore anzichè per una notte.



Info: Wikipedia

Sul Giappone
 
Top
Kimu
view post Posted on 22/12/2011, 16:56




Hanami


La Festa della fioritura dei Ciliegi in Giappone durante la primavera


paesaggio-giapponese



L' Hanami (花見? lett. "ammirare i fiori") è la tradizionale usanza giapponese di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi, in particolare di quella dei ciliegi da fiore giapponesi (Prunus serrulata). Questa raffinata tradizione, antica di più di un millennio, è ancora molto sentita in Giappone tanto da provacare vere e proprie migrazioni di milioni di giapponesi dalle loro città verso le 60 località più famose del Paese. Lo splendido spettacolo dei ciliegi in fiore occupa gran parte della primavera e si può ammirare da inizio aprile (nel sud dell'isola di Honshu) fino a metà maggio (nella settentrionale Hokkaidō). Al giorno d'oggi la festa è anche un'occasione per uscire all'aperto e consumare un sostazioso picnic a base di sushi, con birra e sake in abbondanza all'ombra degli alberi fioriti.

220px-Cherry_blossoms_at_Yoshinoyama_01



Storia

Yoshino (le cui colline in primavera si colorano del rosa pallido degli alberi in fiore) è la città d'origine dei ciliegi giapponesi: la leggenda racconta che gli alberi furono piantati nel VII secolo d.C. dal sacerdote En-no-Ozuno, che si dice avesse scagliato una maledizione contro chiunque osasse abbaterli. Comunque sia andata, gli yamazakura sono alla radice di centinaia di ibridi ottenuti in seguito, e sono divenuti la varietà giapponese per eccellenza; l'Imperatrice Jito (645-702) veniva qui per ammirarne la fioritura.

ciliegi1



Luoghi rinomati per la celebrazione dell'hanami

Parco Maruyama



IMG_7520 il ciliegio simbolico del parco Maruyama (ha 83 anni e di 12m d'altezza)



l Parco Maruyama di Kyoto, antica capitale imperiale del Giappone, è il principale luogo della città in cui ci si reca per praticare l'hanami, ovvero l'usanza giapponese di ammirare la fioritura primaverile dei ciliegi.
Il parco accoglie molti visitatori, specie in primavera, e la sua principale attrazione è costituita da un ciliegio piangente (shidarezakura). L'accesso principale al parco si ha attraverso il Santuario di Yasaka, nella parte orientale del quartiere di Gion.

Parco di Ueno



ueno_primavera



Il parco di Ueno è il più grande parco di Tokyo ed uno dei più antichi del Giappone. È particolarmente apprezzato in primavera per i suoi ciliegi in fiore. I suoi 62,6 ettari ospitano numerosi musei: il Museo Nazionale di Tokyo, il Museo Nazionale delle Scienze, il Museo Municipale di Tokyo, il Museo Nazionale di Arte Occidentale, il Museo d’Arte Mori di Ueno e il Museo Shitamachi.

Miyajima



fiori-ciliegio-miyajima



Nella celebre isola di Hiroshima, patrimonio dell'Unesco, non ci sono grandi spettacoli per quanto riguarda la fioritura dei ciliegi ma se siete da queste parti il panorama non è niente male.

Castello di Hirosaki



320px-Hirosaki_Castle



Hirosaki è famosa per la festa di fiori di ciliegio(23 apr.-5 mag.) Annualmente il castello Hirosaki si copre dei fiori di circa 2,600 cilliegi.

Chidorigafuchi



s-0412kumada_chidorigafuchi2



Non lontano dal Santuario Yasukuni c'è il parco Chidorigafuchi dove tra l'altro si può noleggiare un pedalò per ammirare i Sakura dall'acqua che fa da contorno al Palazzo dell'Imperatore.

Parco Yoyogi



28qxijd



Ex villaggio olimpico, questo parco è uno dei più grandi di Tokyo.

Nakameguro



ng-nightview-sm



Durante il periodo di fioritura dei ciliegi le rive del fiume si trasformano in un luogo di rara bellezza.

Todai-Ji a Nara



flat550x550075f



l Tōdai-ji (東大寺, letteralmente Grande tempio orientale) è uno dei monumenti più importanti della città di Nara (奈良市, antica capitale dal 710 al 794).



Info: Wikipedia
Marco Togni
 
Top
view post Posted on 22/12/2011, 17:29
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Il Tempio Haeinsa

aaa1-1


Situato sulle pendici sud-occidentali del monte Kayasan (가야산 伽倻山), nella regione Kyŏngsang-namdo, Haeinsa (해인사 海印寺) è uno dei luoghi più sacri del buddismo coreano, con circa 70 tesori nazionali, fra cui il Tripitaka Koreana, un gruppo di blocchi di legno per stampare le scritture buddiste prodotto nel tredicesimo secolo e designato dall'Unesco come patrimonio dell'umanità.
Questo, che è il più grande tempio della Corea, si fonde armoniosamente con l'ambiente naturale dei monti Kayasan e Maehwasan dando luogo a una visione maestosa e solenne.
Storicamente, Haeinsa, sede della dodicesima parrocchia della setta Taehan Chogyejong (대한 조계종 大韓 曹溪宗), ha avuto origine da una capanna col tetto di paglia costruita da due monaci, Sunŭng (순응 順應) e Ijŏng (이정 利貞), sul monte Udusan (oggi Kayasan) durante il regno del re Aejang (애장 哀莊 r. 800-809) dello stato di Silla, al loro ritorno a casa dopo aver studiato in Cina.
Quando la regina, moglie del re Aejang, soffrì di un tumore alla schiena, Sunŭng e Ijŏng, che avevano raggiunto uno stato pertetto di concentrazione spirituale, la curarono. Il re Aejang fu molto grato ai monaci, tanto da visitare di frequente la loro capanna sul monte Kayasan e da ordinare, alla fine, la costruzione di un tempio in quel luogo.
La costruzione del tempio fu diretta da Sunŭng, poi da Ijŏng e infine da Kyŏryŏn taedŏk, che divenne il primo capo del tempio. Il re T'aejo (태조 太祖), che fondò il regno di Koryŏ nel 918, designò Haeinsa tempio statale di Koryŏ e lo sviluppò in modo da farlo diventare un tempio buddista rappresentativo.

aaa3-1


Nel 1398, durante il periodo Chosŏn, i blocchi di legno del Tripitaka Koreana furono spostati dal tempio Sŏnwŏnsa, che si trovava sull'isola Kanghwado, al tempio Chich'ŏnsa di Hanyang (l'attuale Seul) e poi, l'anno seguente al tempio Haeinsa, dopo di che Haeinsa servì come tempio principale per pregare per la difesa nazionale. In seguito il re Sejo (세조 世祖 r. 1455-1468) espanse e rinnovò il luogo, chiamato Changgyŏngp'anjŏn (장경판전 藏經板殿), in cui si trovavano i blocchi di legno.
Haeinsa fu ampiamente rinnovato durante il regno di Sŏngjong (성종 成宗 r. 1469-1494), nono re del regno di Chosŏn, e all'inizio del ventesimo secolo servì come base per il movimento, stimolato dal buddismo coreano, di indipendenza dal giogo coloniale giapponese.

aaa2-1


Haeinsa fu colpito da sette grandi incendi e il tempio fu restaurato varie volte. La maggior parte della cinquantina degli attuali edifici fu costruita alla fine del periodo Chosŏn (1392-1910). Gli unici resti storici che risalgano al periodo iniziale della costruzione del tempio sono una pagoda in pietra a tre piani di fronte alla sala delle conferenze Taejŏkkwangjŏn e una lanterna di pietra. Dei molti tesori culturali di Haeinsa, il Tripitaka Koreana e il padiglione-deposito dove questo è custodito, tesori nazionali numero 32 e 52, rispettivamente, e la statua in pietra Yŏrae (여래 如來), tesoro numero 264, sono i più famosi. Miracolosamente i blocchi per la stampa del Tripitaka Koreana e l'edificio che ne costituisce il deposito sono sopravvissuti agli incendi subiti dal tempio. Altri importanti beni culturali comprendono la pagoda in pietra a più piani e la lanterna in pietra di Wondangam, tesoro numero 518, e il monumento di Panyasa Wŏngyŏng wangsa, tesoro numero 128.

aaa4


Come tempio principale della setta Hwaŏmjong (화엄종 華嚴宗) e luogo in cui si trova il Tripitaka Koreana, Haeinsa è stato il rifugio spirituale dei coreani. I templi Haeinsa, T'ongdosa (통도사 通度寺) e Songgwangsa (송광사 松廣寺) sono noti come i “tre monasteri gioiello”. Haeinsa è conosciuto come il monastero gioiello Dharma, mentre T'ondosa e Songgwangsa sono famosi come monasteri Buddha e Sangha. Attualmente Haeinsa ha 75 templi secondari e 4 eremi.
Haeinsa è chiamato monastero gioiello Dharma per la sua conservazione del Tripitaka Koreana. Il tesoro è spesso citato come P'alman taejanggyŏng (팔만대장경 八萬大藏經) perché è composto da oltre 80.000 (p'alman) tavole di legno per la stampa e anche perché il numero 80.000 ha uno speciale significato per il buddismo.

aaa5


Il Tripitaka Koreana fu prodotto come progetto statale due volte durante il periodo Koryŏ. Il lavoro sulla prima edizione iniziò nel 1011 per adempiere il voto che il re aveva fatto di mettere tutte le scritture buddiste conosciute su blocchi di stampa se la nazione fosse stata risparmiata durante le invasioni dei Kitani, e fu completato 77 anni dopo, nel 1087. Era considerato molto superiore alle scritture buddiste cinesi.
Tuttavia, nel 1232 gli invasori mongoli bruciarono il Tripitaka Koreana che era conservato nel tempio Puinsa sul monte Palgongsan. Per sostituirlo, fra il 1236 e il 1251 fu fatto il Tripitaka Koreana ora conservato a Haeinsa.
Per fare i blocchi lignei di stampa, tronchi di betulla bianca e di magnolia argentea vennero immersi in acqua di mare per tre anni, poi tagliati in blocchi e piallati fino a renderli lisci. Per intagliare su di questi le scritture buddiste, i caratteri cinesi venivano per prima cosa scritti sui blocchi con pennello e inchiostro, e poi ogni carattere veniva intagliato.

aaa9


Oggi è difficile immaginare l'impegno e la precisione che furono necessari per compiere il lavoro del Tripitaka Koreana. Secondo quanto viene detto negli antichi documenti, gli intagliatori facevano un inchino fino a terra ogni volta che un carattere era stato scritto e intagliato. Sui blocchi di legno furono intagliati 52.382.960 caratteri cinesi da una trentina di persone, ma i caratteri sembrano essere stati scritti tutti da una sola persona. Dal momento che non vi sono errori di intaglio, né caratteri mancanti, il Tripitaka Koreana è considerato un'opera perfetta.

aaa8


Il Tripitaka Koreana è meglio di altre scritture coreane o cinesi, non solo perché l'intaglio è squisito, ma anche perché è la più completa raccolta del canone buddista, dal momento che comprende molti sutra, commentari e scritti filosofici che altri canoni non riportano. È anche un modello eccellente per le moderne scritture buddiste.
L'intento che stava dietro la fondazione del tempio Haeinsa è racchiuso nel suo nome, Haein (海印). Originariamente il nome viene dall'espressione haein sammae (해인삼매 海印三昧) dell'Avatamsaka Sutra, che significa “il mondo dell'eterna verità”. Inoltre la parola indica anche una mente umana pura che riflette ogni cosa così com'è perché la mente è pulita e limpida. Una tale espressione può essere anche tradotta come “mondo veramente illuminato del Budda” o “vero aspetto del genere umano”.
Per questo motivo, molti considerano Haeinsa come una specie di sito natale spirituale. E non solo perché conserva in un ambiente pacifico il Tripitaka Koreana, le pagode e gli altri preziosi resti storici, ma soprattutto perché è pervaso dallo spirito non inquinato del “mondo dell'eterna verità”.

aaa7


Altre immagini sotto spoiler

Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
view post Posted on 22/12/2011, 17:53
Avatar

Millennium Member

Group:
Member
Posts:
13,872
Location:
𝒞𝑜𝐻𝑜𝓇𝓉 💗

Status:


Chongmyo e Sajik

aaaa6


I coreani che amano leggere romanzi storici e vedere drammi storici alla televisione si imbattono spesso nei nomi “Chongmyo” (종묘 宗廟) e “Sajik” (사직 社稷) e sanno che entrambi questi nomi possono essere considerati sinonimi di “nazione”, ma forse non ne conoscono completamente la storia.
La solenne bellezza dei riti, che sono stati designati dall'UNESCO come patrimonio culturale mondiale, è messa ancor più in evidenza dalla maestosità degli edifici e dalla dignità della musica.
Chongmyo è il nome del tempio reale in cui sono conservate le tavolette degli spiriti dei re coreani e delle loro spose, mentre Sajik è il nome di un altare dove venivano fatte offerte al dio della terra (Sa) e al dio delle granaglie (Chik).

aaaa2


Il Chongmyo (Jongmyo) fu costruito contemporaneamente al palazzo reale Kyŏngbokkung (경복궁 景福宮) alla fondazione della dinastia Yi di Chosŏn (조선 朝鮮 1392-1910). Questo mostra quanto il Chongmyo fosse importante come supporto spirituale per la nuova dinastia. Ogni re considerava i riti ancestrali di Chongmyo come i più importanti della nazione e, di conseguenza, all'architettura e all'ambiente naturale in cui è situato il Chongmyo fu accordata la stessa attenzione riservata di solito ai palazzi reali.

aaaa1


Il Chongmyo conserva come reliquie le tavolette degli spiriti dei re e delle regine di Chosŏn, periodo in cui il confucianesimo era l'ideologia dominante. Il Chongmyo e il Sajiktan (사직단 社稷壇 o “altare Sajik”) furono le prime strutture a essere costruite quando Yi Sŏng-gye (이성계 李成桂), il fondatore della dinastia Yi di Chosŏn noto con il nome dinastico di T'aejo (태조 太租), decise di spostare la capitale a Hanyang (한양 漢陽), antico nome dell'attuale capitale Seul. La costruzione dei due edifici iniziò nel 1394 (terzo anno di regno di T'aejo) non appena fu decisa l'ubicazione del palazzo reale. Questa seguiva il principio di porre “il tempio reale a sinistra e l'altare di stato a destra”. Cioè, quando il re era seduto sul trono reale e guardava verso Nord, il tempio si doveva trovare a Est, alla sua destra, e l'altare a Ovest, alla sua sinistra.
Anche se il Chongmyo non è un edificio normale, ma un tempio, non solo ha un valore universale come opera di architettura, ma possiede una dignità unica che gli deriva dalle tecniche di costruzione impiegate per adattarlo alla funzione di tempio. Per questo motivo, il Chongmyo è oggi oggetto di studio da parte di molti architetti coreani contemporanei. Edifici con una struttura piuttosto semplice sono connessi in una lunga linea per dargli un aspetto grave e dignitoso, con gli ornamenti tenuti al minimo e l'arrangiamento spaziale mantenuto semplice per creare la solenne atmosfera adatta a un tempio.

aaaa4


Gli edifici originali del Chongmyo furono incendiati durante le invasioni giapponesi del 1592, ma vennero ricostruiti nel 1608. Per quanto riguarda il numero delle tavolette degli spiriti ancestrali ivi conservate, man mano che il loro numero cresceva, il tempio veniva espanso da successive generazioni di regnanti. La struttura principale comprende il Chŏngjŏn (정전 正殿), tesoro nazionale numero 227, e il Yŏngnyŏngjŏn (영녕전 永寧殿) e gli edifici ad esso annessi, tesoro numero 821.
Durante la dinastia Yi di Chosŏn, la tavoletta della spirito di T'aejo era conservata ad Ovest e quelle degli altri re erano invece conservate ad Est in linea retta. Siccome la fila di tavolette era cresciuta ed era diventata molto lunga, nel 1421 il re Sejong (세종 世宗) fece costruire l'edificio Yŏngnyŏngjŏn a Ovest del Chŏngjŏn per ospitarvi altre tavolette. Attualmente il Chŏngjŏn contiene le tavolette di 49 re della dinastia Yi disposte in 19 stanze e il Yŏngnyŏngjŏn ne contiene 34 disposte in 16 stanze, il che porta a un totale di 83 tavolette degli spiriti dei re di Chosŏn e delle loro spose. Non ci sono tavolette per i re Yŏnsangun (연산군 燕山君 decimo re) e Kwanghaegun (광해군 光海君 quindicesimo re) perché questi due re furono privati del loro titolo postumo a causa del comportamento disdicevole da essi tenuto nel loro periodo di regno.
Anche se l'architettura del Chongmyo si basava sulla tradizione dei templi della Cina, fu però adattata per venire incontro alle necessità e alle circostanze della dinastia Yi di Chosŏn, per cui ne risultò un'opera distintamente coreana.

aaaa3


Ogni anno, nella prima domenica di maggio si tengono a Chŏngjŏn i riti reali in commemorazione degli antenati. Questi riti sono chiamati Chongmyo cherye (종묘제례 宗廟祭禮) e costituiscono l'importante patrimonio culturale intangibile numero 56. Sono stati l'evento nazionale più importante e la base dell'ordine del regno a partire dal periodo dei Tre Regni (I secolo a.C. - VII secolo d.C.). Riconosciuti come patrimonio culturale completo, i riti combinano procedure rituali, cibi e vasellame, musica e danza, e vengono eseguiti in uno spazio rituale.
Ad accompagnare ciascuna fase del rito è la musica e la danza intitolata “Chongmyo cherye-ak” (종묘제례악 宗廟祭禮樂). Questa Chongmyo cherye-ak, che è uno dei rari esempi di musica antica giunti fino a noi, mette ancor più in risalto la raccolta atmosfera dei riti. Caratterizzate da una bellezza solenne che deve accordarsi con la bellezza architettonica degli edifici e con la dignità dei riti, e accompagnate da canti dal ritmo unico che esprimono la storia del regno, la musica e la danza Chongmyo hanno un grande significato storico e artistico. La “Chongmyo cherye-ak”, importante patrimonio culturale intangibile numero 1, è conservata dal Centro nazionale per le arti dello spettacolo della Corea. Assieme al Chongmyo è stata posta nell'elenco del retaggio culturale mondiale dell'UNESCO.
A partire dal periodo dei Tre Regni, ognuno dei regni coreani costruì un altare nazionale, o Sajiktan, e tenne varie volte all'anno dei riti chiamati Sajikche (사직제 社稷祭) in cui si pregava per la pace nazionale e per un raccolto abbondante. Siccome la gente non poteva vivere senza la terra e i raccolti, il re, dopo la fondazione del regno, costruiva l'altare nazionale e teneva i riti agli dei della terra e delle granaglie a favore della popolazione. Così l'altare Sajiktan simboleggiava l'unione del fato del re con quello del popolo.
Ma oggi, a differenza di quanto accade al Chongmyo, che è soggetto a sistematiche cure conservative grazie al suo ingresso nel 1995 nell'elenco delle proprietà culturali mondiali, pochi coreani sono coscienti dell'esistenza del Sajiktan, che ora viene chiamato Parco Sajik, nel quartiere Sajik-tong a Seul.

aaaa7


Nel 1920, durante il periodo dell'occupazione coloniale giapponese, il Governatorato generale giapponese fece abbattere i muri del Sajiktan, l'edificio Anyangch'ŏng (안양청 安養廳) (dove si preparavano i riti) compresi gli edifici annessi e il Chesaengch'ŏng (제생청 濟生廳) (l'edificio in cui veniva preparato il cibo rituale), trasformando il Sajiktan in un parco. Questa mossa era in linea con l'iniziativa di degradare il palazzo reale Ch'anggyŏnggung (창경궁 昌慶宮) in un parco chiamato poi Ch'anggyongwŏn (창경원 昌慶苑), come parte dello sforzo giapponese di distruggere la cultura coreana.
La situazione non è ancora migliorata neppure oggi. Di fronte all'altare Sajik, dove un tempo si tenevano i riti, ora vi è un campo di basket e, sul fondo, un campo di calcio e, dove allora si trovavano gli edifici annessi all'altare, oggi vi sono un ufficio della polizia e vari altri edifici pubblici. Gli abitanti di Seul sono così inconsapevoli dell'esistenza del Sajiktan da far pensare che, anche se Chongmyo esiste, Sajiktan è virtualmente inesistente.

aaaa8


Di recente, tuttavia, un gruppo culturale chiamato Yŏl e vari gruppi civici hanno iniziato una campagna per restaurare il Sajiktan. Dal momento che il progetto di ripristinare (cioè di scoperchiare) il corso d'acqua Ch'ŏnggyech'ŏn (청계천 淸溪川), ora coperto, sta per essere attuato, essi cercano di promuovere il progetto di restauro del Sajiktan, che è situato sulle pendici del monte Inwangsan (인왕산 仁王山), dove ha origine quel corso d'acqua, come chiave per il ripristino della storia, della cultura e dell'ambiente della città.
Tutti gli anni a settembre si tengono in un'atmosfera grave e solenne i riti Sajik taeje (사직대제 社稷大祭) sotto gli auspici dell'Associazione per la conservazione del Sajik taeje. Il “Sajik taeje” e il “Chongmyo cherye” erano i riti più importanti durante il periodo Chosŏn. Rispettare il Chongmyo e il Sajiktan significava tenere alte le fondamenta della nazione. L'identità del popolo coreano veniva riconfermata dall'esistenza di questi rituali durante i quali si pregava per la pace della nazione e per la prosperità del suo popolo.

aaaa5



Info qui: Corea.it
 
Web Contacts  Top
66 replies since 12/12/2011, 22:10   11045 views
  Share